È una bella scelta, quella della giuria del 30esimo Festival Mix, ossia premiare un fresco e onesto racconto di formazione israeliano, Barash di Michal Vikin, che batte il favoritissimo La Belle Saison di Catherine Corsini, costretto ad accontentarsi del secondo posto – meglio così, è inutile dare troppi premi agli stessi film: ha già vinto a Locarno e al Togay.
C’è in effetti uno sguardo molto partecipe nel raccontare in Barash l’innamoramento di una diciassettenne – interpretata con lodevole naturalezza da Sivan Noam Shimon – per una compagna di scuola, fra droga, sballo e la misteriosa sparizione della sorella soldato (è reso benissimo il clima di omertà di un esercito che sembra ignorare le istanze della società civile).
La motivazione della giuria estesa – undici componenti – parla di “un film che, grazie a una certa ricerca e attenzione al dettaglio incontra e rappresenta al meglio le nuove generazioni. Unisce ad una narrativa di puro intrattenimento temi forti come il “confine”, interiorizzato o esteriorizzato, e il dialogo con ciò che vive al di là del muro, comunque si percepisca il muro. Pure con qualche facilità e perfino ingenuità registica, il film ci pare possa diventare un punto di riferimento per un’onesta lettura della realtà, in cui la riflessione sull’identità si sposta sempre di più verso il genderfluid, garantendo così una pluralità e complessità narrativa nuova e gravida di spunti futuri”. Una menzione speciale è andata all’americano Jason and Shirley di Stephen Winter “per la capacità di raccontare lo sguardo sull’altro, con un film low budget eppure attento a ricostruire le trame di un momento cruciale per la storia del cinema sperimentale, ma anche capace di farsi punto di riferimento e pietra miliare nella storia del movimento”.
Per la prima volta sono stati assegnati anche un secondo e un terzo posto: come abbiamo detto, La Belle Saison si aggiudica la medaglia d’argento grazie a “una cinematografia di qualità che propone un affresco storico convincente (i movimenti femministi degli anni Settanta) su cui si innesta una storia lesbica che, pur giocando con dei clichés narrativi consolidati, riesce a coinvolgere emotivamente e a tratti a stupire con una resa della bellezza dei corpi che è pura seduzione”. Sul podio sale anche il tedesco Liebmann di Jules Hermann, “un esperimento interessante che a tratti pare aprirsi ad una narrrazione puramente filosofica, sostenuto da una prova attoriale di Godeard Giese degna di menzione”.
I premi della sezione documentari vanno agli Stati Uniti: la giuria composta da Mattia Carzaniga, Carlo Griseri e Raffaella Milazzo “ha voluto, anche simbolicamente, premiare il più giovane autore in gara (Alden Peters, regista di Coming Out, n.d.r.) per il coraggio di mettere in scena se stesso rendendo il suo coming out privato una storia universale e per la capacità di stimolare la discussione sui temi dell’omofobia e del bullismo con un approccio, sia tecnico che stilistico, istintivo e anche per questo molto efficace”. La toccante vicenda della pittrice Edith Lake Wilkinson rinchiusa a vita in un manicomio nel 1924, raccontata in Packed in a trunk. The lost art of Edith Lake Wilkinson di Michelle Boyaner e Jane Anderson, si aggiudica una menzione speciale.
Per quanto riguarda il concorso cortometraggi, un gruppo di giovani coordinati dal tavolo formazione del Milano Film Network ha scelto lo svedese 09:55 – 11:05 Ingrid Ekman, Bergsgatan 4B di Sophie Vukovic e Cristine Berglund “per la profondità e la raffinatezza con cui viene trattato il tema della sessualità in età senile. Per l’utilizzo di immagini forti e realistiche, ma sempre delicate, che mostrano il desiderio del corpo femminile ad ogni età. Per l’attenzione e la cura dedicata alla fotografia e al montaggio”.
All’inglese Oh-Be-Joyful di Susan Jacobson va infine una menzione speciale “per l’efficacia del messaggio ed il modo ironico e divertente di trattare il tema della libertà di essere sé stessi, ribaltando la visione del rapporto generazionale”.
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