“Il cinema serve a riempire gli spazi vuoti della vita” ha dichiarato recentemente Pedro Almodóvar, e questa sua frase pubblicizza la nuova, raffinata collana a lui dedicata dai Quaderni Fnac, con interviste esclusive a Vladimir Luxuria sul grande regista spagnolo.
Il suo ultimo film "Gli abbracci spezzati", finalmente in uscita nelle sale italiane, parla soprattutto di cinema: come si immagina, come si crea, come si intreccia inevitabilmente con la vita privata, come si vive grazie ad esso ma anche come si può morirne.
Così, le tragiche vicende di Mateo Blanco (Lluis Homar, adeguato), regista che ha perso la vista e la donna della sua vita, Lena (una Penelope Cruz meno azzeccata del solito) in un incidente d’auto avvenuto sull’isola di Lanzarote quattordici anni prima, diventano metafora della fotofobia vissuta realmente da Almodovar – ha passato un periodo interamente al buio perché infastidito dal minimo raggio di luce – e della paura massima nel suo cinema fortemente melò: l’abbandono sentimentale.
Ma dopo quel triste evento che gli cambiò la vita, Mateo decide di firmare le sue opere con lo pseudonimo di Harry Caine (si legge come ‘hurricane’, ossia uragano) ma non riesce a dimenticarlo nonostante l’aiuto della produttrice Judit e del figlio Diego, anche perché riemerge dal passato la storia d’amore che legò Lena all’abbiente Ernesto Martel.Molto cine-citazionista ma anche autoreferenziale – c’è pure un film nel film, “Ragazze e valigie” che ricalca "Donne sull’orlo di una crisi di nervi" – ha il difetto, pur avendo una bella fotografia dalla dominante rossa firmata Rodrigo Prieto, di essere un melodramma molto algido e faticoso, in cui la passione è troppo raccontata ma poco vissuta, ed è viziato da una sceneggiatura inutilmente lambiccata (difetti riscontrabili anche in “La mala educación”).
La bravura di Pedro nel tratteggiare i caratteri femminili si perde così in giochetti parafilmici come il video in stile Dogma che il ragazzo gay soprannominato ‘Ray X’ (la promessa Ruben Ochandiano: si farà) utilizza come ricatto per rovinargli la vita, personaggio per altro poco approfondito. È davvero un peccato, perché la scena d’intimità maschile dopo l’amore ha un suo perché e ravviva la narrazione.
Insomma, anche se un film di Pedro lo si consiglierebbe anche a scatola chiusa, questa volta il meccanismo sembra essersi inceppato, e il sofferto “Gli abbracci spezzati” sembra rappresentare una rottura dell’alchimia tra Pedro e l’oggetto del suo cinema, speriamo momentanea, come se si trattasse di una sorta di stasi creativa, d’impasse espressivo.
Alla seconda proiezione stampa a Cannes gli applausi furono pochi e la nostra delusione fu cocente anche se “Gli abbracci spezzati” potrebbe rifarsi nelle sale tradizionali, visto lo zoccolo duro dei suoi fan. Ma noi vorremmo riabbracciare l’Almodóvar che amiamo di più, non quello cervellotico e saccente, bensì quello che vibra di passione vera e non solo cinefila.
© Riproduzione Riservata