Avevo appena 17 anni quando ebbi in metro il primo contatto fisico gay della mia vita. Ero a Londra per uno di quei soggiorni studio che ai miei tempi sembrava un passaggio obbligato più del servizio militare e stavo chiacchierando con delle compagne di corso, quando mi si piazzò dietro un ragazzo che avevo visto salire poco prima e con il quale, per una frazione di secondo, avevo scambiato lo sguardo. Lui era molto carino, molto biondo, molto mio tipo (sebbene a 17 anni e vergine il tuo tipo è chiunque abbia un apparato polmonare funzionante).
Evidentemente avevo scritto in fronte “sono gay” molto più di quanto pensassi perché con una certa sfrontataggine mi si mise dietro e mi palpeggiò il sedere. Io trasalii (all’epoca mi capitava ancora davanti ad un affondo sessuale) ma c’era molta gente nel vagone e pensai fosse stato un movimento involontario causato dalla calca. Il secondo tocco mi fece sorgere il sospetto, il terzo mi diede la certezza anche perché stavolta si era spinto con la mano dentro le mutande. E tutto questo davanti alle mie compagne con le quali cercavo di parlare come nulla fosse nonostante un’erezione incontenibile. Dopo una fermata lui scese ma non prima di avermi lanciato un sorriso che a me sembrò dovuto più al compiacimento per l’imbarazzo che mi aveva causato che al piacere di palpeggiare un ragazzo che all’epoca aveva ancora tutto su.
Se avessi potuto scegliere il primo “contatto” erotico con un uomo avrei immaginato qualcosa più stile "bacio in controluce su un tramonto bruciato su una costiera del sud Italia" che una sequenza di “Ai cessi in taxi”, ma a me toccò questa e recriminare ormai non ha alcun senso.
Tranne che in quel frangente (dove però ero talmente affamato che anche se mi avesse dato una pugnalata tra le scapole mi sarei comunque eccitato), non ho mai apprezzato molto la pratica del palpeggiamento e non l’ho mai trovata particolarmente gradevole. Lo ammetto, io non sono uno molto “tattile” e a me anche i gesti d’affetto di mia madre, a meno che non siano concordati (“Bello di mamma, ti sto per dare una carezza”), mi sembrano un’invasione della privacy, figuriamoci poi se a fartelo è uno sconosciuto.
È vero, in linea di massima è pur sempre un segno d’apprezzamento, ma oltre al fatto che ti colga sempre di sorpresa, quando non puoi contrarre il gluteus maximum per far sì che la chiappa dia il meglio di sé al tatto, mi sembra anche una specie di verifica della “consistenza” della carne, un po’ come gli allevatori che testano la dentatura di un cavallo a una fiera di campagna.
Gli ambienti dove il palpeggio prolifica sono svariati (dalla discoteca ai mezzi pubblici, passando per i concerti allo stadio fino alle manifestazioni politiche in piazza) come anche praticamente innumerevoli le espressioni da finto ignaro di quanti poi vengono fulminati dallo sguardo di chi non gradisce l’approccio. Una cosa sola resta fissa e immutabile: la motivazione che porta delle persone (anche con una vita normale: professionisti, avvocati, laureati, insomma i così detti “insospettabili”) a schiaffarti una mano nel culo piuttosto che ammiccare un sorriso o tendere la mano per presentarsi.
A me è capitato spesso in discoteca. Certo, potreste pensare che sia solo un mio eccesso di erotomania, un po’ come fanno gli etero quando capitano ad un party gay e a fine serata è tutta una lamentela per aver avuto un’acquasantiera al posto del culo, ma a me capita davvero, e questo non significa che sia io irresistibile quanto semmai loro disperati, e non è mai successo che questo avesse dato vita poi a una conoscenza.
Insomma cosa credono che dopo aver lasciato il calco sul mio sedere come una star americana nel cemento fresco di Hollywood Boulevard io mi giri e gli dica: “Hey, sai che adesso ho proprio voglia di offrirti da bere?!”.
Forse, un po’ come per tutte le “fissazioni” erotiche, chi pratica la palpazione è più eccitato dal gesto che dalla persona alla quale la fa e quindi te o un altro, poco cambia.
Comunque sia, ancora oggi, ogni volta che mi capita di essere palpeggiato, mentre la sua mano indugia per un millesimo di secondo sulla mia chiappa, con la velocità della luce torno con il pensiero al bel biondino d’oltremanica e mi chiedo se dopo essere sceso dal nostro vagone non sia saltato al volo su un altro cercando un nuovo sedere da “ponderare”. E considerando quanti gay c’erano già allora a Londra e l’incredibile numero di linee, per lui doveva essere davvero un grande spasso viaggiare in metropolitana.
E a voi è mai capitato?
Siete dei cultori della pratica?
E se sì, cosa vi piace della palpata?
di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti