Mostri e bambini al Togay. Forse mai s’era visto sul palco del Festival un papà con la propria bambina in braccio: è successo ieri sera alla presentazione di ‘Un mondo d’amore’ quando il regista Aurelio Grimaldi è arrivato con la sua secondogenita Camilla (e in sala c’era anche l’altra figlia, protagonista del suo precedente ‘Iris’), giustamente terrorizzata davanti al pubblico un po’ meravigliato. «Non ho mai fatto film comici… Almeno non volontariamente» ha dichiarato Grimaldi riferendosi probabilimente al ridicolo ‘Il macellaio’ con Alba Parietti. Qui siamo in un altro universo più caro al regista: Pier Paolo Pasolini, la cui vita era già stata al centro dell’intenso ‘Nerolio’. Grimaldi compie qui un’operazione più trasgressiva ma meno riuscita, il tratteggiare un Pasolini lontano mille miglia dall’iconografia classica, quasi romantico e remissivo. Si ricostruisce un episodio biografico successo a Casarsa, l’incriminazione a 27 anni per corruzione di minori e atti osceni basata solo su indiscrezioni, accusa che gli costò il posto di insegnante, l’espulsione dal Partito Comunista e conseguente fuga a Roma dove la madre trovò impiego come domestica e lui rimase senza lavoro per mesi. Peccato che il Pasolini di Grimaldi (Arturo Paglia) non sia il ‘nostro’ Pasolini, non abbia il suo volto spigoloso, la sua espressione tormentata, il suo sguardo ‘morale’ ma sembri troppo intenerito e addomesticato, sottomesso e pavido. Del vero Pier Paolo resta l’amore per la poesia e la letteratura, ma non la sua (il Nobel Andrè Gide viene storpiato in ‘Arpegid’ dal carabiniere che lo interroga) e il suo amore/affetto per gli adolescenti sia poco passionale e i ragazzi siano meno che mai ‘di vita’, piuttosto scolari, adolescenti quieti, amici di famiglia. Insomma, un Pasolini così risolto e paterno ci fa storcere il naso, non ci convince, può anzi creare confusione tra i molti film a lui dedicati ultimamente. Molto bella, invece, la fotografia contrastata in bianco e nero di Massimo Intoppa.
Mostri fassbinderiani invece ne ‘La tenerezza del lupo’ di Ulli Lommel, storia vera di Fritz Haarman, serial killer che terrorizzò Hannover negli anni ’20. Lommel è un regista polacco che ha lavorato come attore in ben 12 film di Fassbinder e l’influenza del maestro tedesco è visibile sia nello stile che nell’utilizzo di molti suoi attori, da Margit Carstensen a Brigitte Mira (lo stesso Fassbinder fa il cameo di un pappone con pantalone sbottonato e sesso in evidenza). Ma ovviamente c’è qualche ingenuità in più e il vampiro gay che divora ragazzotti imberbi e indifesi ma collabora con la polizia per controllare il mercato nero tedesco diventa quasi trash quando rivende i pezzi di carne delle sue vittime come tranci di prima qualità nelle trattorie locali. Mostri gay anche nel bel ‘Dr. Jekyll & Sister Hyde’ di Roy Ward Baker, basato sulla storia di Robert Louis Stevenson ma in versione trans. Qui Mr. Hyde diventa la sensualissima Barbara Hyde, spacciata per sorella di Jekyll, metafora dell’omosessualità repressa del protagonista. Grande regia e almeno due scene cult: il volto del Dr. Jekyll deformato nello specchio prima di morire cadendo dal cornicione e la signora Hyde che strappa una tenda e la trasforma in un battibaleno in un fiammeggiante abito rosso.
Cinema
PASOLINI, MOSTRI E TRANS
Al Festival del Cinema Gay di Torino, Aurelio Grimaldi presenta il suo poco riuscito film sul poeta di Casarsa. E poi arrivano le "creature": i vampiri di Lommel e un dottor Jekyll gay.
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