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Un ristorante in cui tutto lo staff ha l’HIV: il progetto contro lo stigma

In Canada il 50% della popolazione non ci mangerebbe.

2 min. di lettura

A Toronto (Canada) per due giorni è rimasto aperto un ristorante temporaneo molto speciale: il locale era gestito solamente da persone con l’HIV.

È stato chiamato June’s ed è stato aperto da Casey House, un ospedale che da molti anni si occupa di seguire le persone sieropositive. Le due serate (7 e 8 novembre) di apertura del ristorante hanno riscosso grande successo: il locale ha fatto il tutto esaurito – circa 100 persone per serata – e gli organizzatori hanno annunciato che prossimamente organizzeranno altre serate simili.

Un ristorante in cui tutto lo staff ha l'HIV: il progetto contro lo stigma - Schermata 2017 11 14 alle 14.14.38 - Gay.it

Il primo ristorante al mondo di questo tipo ha aperto con l’obiettivo di sfatare alcuni pregiudizi che ancora oggi circolano sulle persone con HIV: il progetto è nato dopo che gli organizzatori hanno saputo di un sondaggio realizzato sempre in Canada secondo cui il 50% dei canadesi non si fiderebbe a mangiare del cibo preparato da una persona sieropositiva. Un vero e proprio pregiudizio infondato, visto che il virus dell’HIV non si diffonde per via aerea o con lo scambio di saliva, ma solo tramite un rapporto sessuale o uno scambio di sangue.

In tutto, nel progetto, sono state coinvolti 14 persone, seguite da cuochi professionisti. Muluba Habanyama, una delle persone che si sono messe dietro i fornelli, ha raccontato che da bambina una dei suoi tutor la portò a cena fuori ma la fece mangiare con posate e bicchieri di carta, mentre lei e suo marito mangiavano con quelli normali: “Avevo più o meno sette anni. Mi fece davvero male“.

Un ristorante in cui tutto lo staff ha l'HIV: il progetto contro lo stigma - Schermata 2017 11 14 alle 14.14.58 - Gay.it

Joanne Simons, la CEO di Casey House, ha spiegato al Guardian che ovviamente non c’è nessun rischio per i clienti di June’s: “In molti ci hanno chiesto cosa avremmo fatto quando qualcuno dei nostri cuochi si fosse tagliato in cucina. Ci comportiamo come farebbe chiunque: curi la persona ferita, pulisci la stanza e butti il cibo venuto a contatto col sangue. Lo faremmo a prescindere, si tratta solo di buon senso“.

Al locale le pareti e i tavoli erano tappezzati di slogan come #smashstigma (“spezza il pregiudizio”) o kiss the HIV cook (“bacia il cuoco sieropositivo”). Trevis Stratton, 52 anni, ha spiegato di essersi proposto come cuoco per provare a superare l’isolamento che spesso affligge chi ha contratto l’HIV: “Abbiamo bisogno di aiuto, di alleati. Siamo invisibili. È questo il nostro compito, provare ad attirare l’attenzione su di noi“.

Ogni giorno 7 persone in Canada ricevono la diagnosi di positività al virus, cifra poco inferiore rispetto a quelle degli anni ’80.

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Giovanni Di Colere 14.11.17 - 19:08

Sì ma poi in questo ristorante si mangia bene o male?

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