Indagine Stigma Stop sulla comunità LGBTIQA+: le identità meno visibili riportano stato di salute e psicologico più bassi

La panoramica dei dati fa riflettere sul rapporto tra i gruppi interni alla comunità. Italia indietro nell'implementazione di servizi sanitari specifici, a discapito dell'efficacia.

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Lo scorso Aprile in Italia è stata proposta una larga indagine volontaria sul tema dello stigma. Il sondaggio Stigma Stop, promosso da Arcigay con il sostegno incondizionato di ViiV Healthcare, ha raccolto più di 4200 questionari compilati, di cui 3827 sono stati considerati in linea con i criteri di definizione del campione. Qualche giorno fa a Bologna sono state presentate alcune evidenze emerse dall’indagine.

Obiettivo generale della ricerca, che si è avvalso della consulenza del Dott. Filippo Nimbi psicologo, sessuologo e ricercatore dell’Università Sapienza di Roma, è la raccolta di informazioni sullo stato di salute sessuale e psicologica della comunità LGBTQIA+ italiana, approfondendo possibili fonti di stigma sessuale e dati sulla prevenzione dalle Infezioni Sessualmente Trasmissibili (IST). Inoltre, la ricerca misura le differenze che ci sono in relazione a rispetto, salute sessuale e psicologica, stigma sessuale, prevenzione e rischio IST.

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Il sondaggio Stigma Stop di Arcigay è condotto grazie al support non condizionato di ViiV Healthcare

Ne è emerso che lo stigma all’interno della comunità LGBTIQ+ colpisce in particolare le identità meno visibili, le persone bi-pan-polisessuali, asessuali, non binarie e questioning. Le identità meno visibili riportano livelli di salute sessuale e psicologica più bassi e risultano più sofferenti, oltre ad avere una maggiore difficoltà di interazione con i professionisti della salute a causa della paura, dello stigma e del pregiudizio da parte del personale sanitario”.

Di seguito il nostro servizio video con le interviste a Ilaria Pennini, responsabile Salute Arcigay, e Filippo Nimbi, psicologo, sessuologo e ricercatore dell’Università Sapienza di Roma (da Bologna, a cura di Benedetta Paola Manca)

 

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Al livello di letteratura internazionale, troviamo dati simili a questa ricerca, con una differenza importante: negli altri paesi occidentali, questa realtà ha già portato all’applicazione di politiche sanitarie e sociali mirate, che differenziano il tipo di intervento sulla base dei bisogni dei singoli individui delle minoranze. Mentre in Italia persiste una difficoltà estesa nell’implementazione di servizi che possano essere specifici, accoglienti, rispettosi di tutte le identità sessuali, e soprattutto, più efficaci.

“La letteratura internazionale – spiega il dott. Nimbi – evidenzia da anni quanto le minoranze (siano esse etniche, religiose o sessuali) siano soggette a livelli alti di stress in vari contesti (familiare, lavorativo, sociale) proprio per la loro appartenenza ad uno status minoritario. La pressione dello stress di minoranza influisce negativamente su vari aspetti della salute e della qualità della vita, con una più alta presenza di sintomi psicologici, fisici e comportamentali. Ne sono un esempio i significativi tassi di depressione, ansia, ideazione suicidaria, patologie infettive e sistemiche, consumo di sostanze e rapporti sessuali a rischio, che possono essere rintracciati in numerose fonti scientifiche. Inoltre, è ampia la letteratura internazionale che si occupa nello specifico della comunità LGBTQIA+. La maggior parte degli studi sono in accordo nell’evidenziare il ruolo specifico di alcuni fattori di rischio, quali lo stigma interiorizzato e lo stigma percepito dall’ambiente, di cui sono un esempio le discriminazioni subite che variano da atti violenti espliciti a micro-aggressioni.”

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Per quanto riguarda la salute sessuale, sono stati registrati livelli tendenzialmente medio-bassi di salute sessuale e psicologica per più di un terzo dei partecipanti, con una disparità significativa evidenziata sia per identità di genere, sia per orientamento sessuale. Risultano più sofferenti quelle identità sessuali meno visibili come le identità non binarie e le identità che riguardano lo spettro asessuale (ACE) e bi-pan-polisessuale.

È utile osservare anche i livelli estremamente bassi di sofferenza psicologica negli uomini cisgender, che potrebbero essere dovuti in parte alla tendenza a dare poca attenzione alla sfera emotiva e psicologica, dichiarando di conseguenza meno sintomi di quelli effettivi (alessitimia).

In tema di stigma sessuale, gli uomini cisgender sembrano essere generalmente più stigmatizzanti rispetto all’HIV e verso le persone LGBT, oltre ad essere più moralisti sulla sessualità.

Il gruppo di persone questioning riporta livelli di stigma interiorizzato più alti e più bassi livelli di identità positiva rispetto agli altri gruppi.

Le persone transgender (binarie e non) riportano maggiori esperienze di stress e discriminazione.

Gli uomini cisgender riportano da un lato livelli più alti di identità positiva percepita, dall’altro, livelli più bassi di sostegno percepito dalla comunità LGBTQIA+ rispetto alle altre identità.

Gli uomini transgender e le persone non-binary riferiscono livelli più alti di stigma percepito dalla comunità LGBTQIA+.

Gli uomini transgender, cisgender e le persone non-binary riportano di essere più spesso stigmatizzanti nei confronti di membri della comunità LGBTQIA+ e di temi specifici rispetto al gruppo delle donne cisgender.

Le persone eterosessuali sono tendenzialmente più stigmatizzanti rispetto all’HIV in confronto agli altri gruppi.

Le persone ACE riportano livelli più alti di stigma sessuale interiorizzato, seguite dalle persone bi- pan-polisessuali e omosessuali. Allo stesso modo, le persone che si identificano nello spettro ACE riportano maggiori esperienze di stress e discriminazioni relative alla propria identità sessuale, fuori e dentro la comunità LGBTQIA+, seguite sempre dalle persone bi-pan-polisessuali e da quelle omosessuali.

Le persone lesbiche e gay riportano livelli più alti di identità positiva percepita come persone LGBTQIA+ rispetto agli altri gruppi.

I gruppi non si differenziano per il livello di supporto ricevuto dalla comunità e per lo stigma perpetrato all’interno della comunità LGBTQIA+.

Le persone lesbiche e gay riportino livelli più alti di moralismo sessuale (paragonato alle persone Bi- Pan-Polisessuali) e di stigma verso temi LGBT.

In ambito prevenzione e rischio IST le donne e gli uomini transgender riportano esperienze più negative nell’ambito sanitario rispetto agli altri gruppi, seguite dalle persone non-binary e dagli uomini cisgender.

Le donne e gli uomini transgender riportano una maggior frequenza di consulenze psicologiche effettuate rispetto agli altri gruppi, seguite dalle persone non-binary, questioning e dalle donne cisgender.

Gli uomini cisgender riportano una più alta frequenza di screening per le IST rispetto a tutti gli altri gruppi. In seconda posizione per frequenza troviamo le persone non-binary. Questa tendenza viene confermata anche relativamente al test HIV.

Gli uomini cisgender riportano una più alta frequenza di IST nella vita rispetto a tutti gli altri gruppi. Gli uomini cisgender riportano con maggior frequenza di aver contratto l’HIV. Gli uomini cisgender riportano una frequenza di utilizzo maggiore dei metodi barriera rispetto agli altri gruppi.

Le donne cisgender riportano la frequenza di utilizzo più bassa rispetto a tutti gli altri gruppi.

Gli uomini cisgender riportano un maggiore accesso alla PrEP rispetto a tutti gli altri gruppi. Gli uomini cisgender e le persone non-binary riportano più spesso di aver avuto almeno un’esperienza di chemsex nella vita rispetto agli altri gruppi.

Le persone bi-pan-polisessuali riportano esperienze più negative nell’ambito sanitario rispetto agli altri gruppi.

Le persone lesbiche e gay riportano una frequenza più bassa di accesso alla consulenza psicologica rispetto agli altri gruppi.

Le persone omosessuali riportano di fare test per le IST più spesso degli altri gruppi. Sono contrapposte alle persone che si identificano all’interno dello spettro ACE, le quali riportano la più bassa frequenza di accesso ai test diagnostici.

Questo andamento è confermato per il tempo trascorso dall’ultimo test HIV e per la frequenza di IST. Nel caso dell’infezione da HIV, troviamo più persone che dichiarano di essere positive nel gruppo omosessuale rispetto agli altri gruppi.

Le persone bi-pan-polisessuali riportano un più alto utilizzo di metodi barriera, seguite dalle persone omosessuali e dagli altri gruppi.

In coda, con la minor frequenza di utilizzo di metodi barriera troviamo le persone asessuali.

Le persone omosessuali riportano un maggiore accesso alla PrEP a rispetto agli altri gruppi e una maggiore frequenza di persone che dichiarano di aver fatto esperienza di chemsex nella vita.

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