Cos’è successo alla New York Fashion Week? Molto poco, quasi niente

Jeremy Scott ed HBA e poche altre vibrazioni. Bello Wang per Adidas. La noia del guarda e compra invade gli show, gli eventi e i linguaggi.

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4 min. di lettura

Potremmo dire che la moda è un sistema complesso e che l’hype attorno ad essa è ricorsivo, con momenti di picco e momenti di down. Questo andamento è riscontrabile a più livelli. All’interno dello stesso brand esistono stagioni su e stagioni giù. Così come più in grande la stessa cosa succede per intere categorie merceologiche. Infine succede anche, con tempi più lunghi, per le diverse fashion week mondiali.

Questo intro non effettivamente entusiasmante per dire che la New York Fashion Week è stata una non troppo discreta rottura di palle.
La rivoluzione, quasi copernicana, del see now buy now non ha più lo slancio pioneristico degli inizi. Per la prima volta è una sorta di norma, e anche Ralph Lauren, distillato di americanità, ha sfilato di fronte al flagship di Madison Avenue, rendendo poi immediatamente disponibile l’intera collezione in store e online.

YEEZY SEASON 4

 

L’unica cosa veramente divertente è che Kanye West per la presentazione di Yeezy Season 4 ha pisciato, e di molto, fuori dal vaso facendo incazzare tantissimo tutti i giornalisti di moda ‘che contano’, tipo Stella Bugbee di The Cut che non ha preso per niente bene lo show off cafonissimo di ego del nostro Re Mida.

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Un mix di ritardi clamorosi anche per il fashion system, spostamenti in autobus inattesi, imbottigliamenti nel traffico e modelle che svenivano per il troppo caldo aspettando l’arrivo di Kim Kardashian (con 76 minuti di ritardo, pare). Ne parla più approfonditamente Silvia Schirinzi qui.

E anche concentrandosi sugli abiti, cosa che nessuno alla sfilata di un rapper dovrebbe trovarsi costretto a fare, niente di nuovo sotto il sole.
E ok i cappucci, e ok i nude look, e ok le maniche lunghe. Va bene creare un’identità precisa. Ma alla quarta forse proporre qualche evoluzione non sarebbe una cattiva idea.

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ALEXANDER WANG

Restando in tema streetswear (?), il finale dello show di Alexander Wang ha confermato i rumor di una collaborazione con Adidas. E l’hype attorno al designer americano di origine taiwanese sembra impennarsi dopo l’uscita, per così dire non troppo rimpianta, da Balenciaga. Le foto del lookbook di Jurgen Teller, hanno la loro parte di merito.

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E l’ambassador d’eccezione è Rocco Ritchie, sedicenne figlio di Madonna e del regista inglese Guy Ritchie, che (per l’occasione?) si è rasato la lunga chioma.

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HOOD BY AIR

Un po’ di ciccia la troviamo da Hood By Air. Shayne Oliver riunisce il suo consolidato reame di club kids ed extravaganza in purezza e organizza uno show-protesta contro l’establishment di Wall Street. Date le imminenti elezioni pare proprio una presa di posizione fuori tempo massimo, un rifiuto dei due candidati in corsa: l’una considerata troppo vicina al mondo della finanza, l’altro non c’è neanche bisogno di commentarlo. Ci si consola immaginando un Bernie Sanders in total look HBA.

Gli abiti conservano le influenze bondage, ma tutto si fa più fluido. Quasi sciolto sui corpi. L’effetto è interessante, e certi insiemi di pantaloni e camici e cinghie paiono quasi macchie gocciolanti o grossi pastori bergamaschi in passerella.
Gli slogan sono cubitali. Hustler il più chiaro, so’ tutti furbetti del quartierino.
La collaborazione (altra parola fondamentale di queste ultime settimane della moda) con Pornhub sembra endorsare un unico business, l’unica vera finanza creativa. In chiusura sfila anche Wolfgang Tillmans, fotografo feticcio e bridge tra la strada, la moda alta e certi concettualismi editoriali.

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JEREMY SCOTT

Jeremy Scott si butta sugli anni 80 della New York da bere (e da tirare). E qui bisognerebbe capire se stiamo scavando sul fondo del barile delle reference oppure se ci troviamo di fronte a un nuovo mostro. Ossia la citazione che gli anni 2000 (Madonna, Hung Up) fecero degli anni 80. Inception della moda. Alcune uscite sono scontate come da contratto. Altre, vedi le stampe di Patrick Nagel o lo styling più prepotentemente Patricia Field, invece funzionano in un’operazione nostalgia della nostalgia quasi affascinante.

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Pare proprio ci sia da aspettare la Brexit London, con la fashion week dal 16 al 20. Chissà che dal marasma non possa esplodere qualcosa di veramente nuovo.

 

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Giovanni Di Colere 17.9.16 - 20:08

Commento censurato

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Giovanni Di Colere 17.9.16 - 9:10

La.moda è una metafora riuscita di molta parte della cultura e dell'arte. I cosiddetti artisti i creativi distruggono il romanzo il racconto la narrazione anche poetica scrivendo e facendo pubblicare cose scritte da cani ed ecco che lo scrittore da mito vivente diventa un essere umano. Peraltro antipatico e presuntuoso. Spesso ignorante. Se nella moda una creazione uno stile diventano un vestito e una scarpa col tacco è tutto molto banale. Di più. È brutto. Han voluto fare lo street style la moda democratica e hanno distrutto il sogno il mito l'immaginazione. E come diceva il grande Hitchcock se uno vuole la realtà non va al cinema. E neanche a comprare un vestito.

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