Chambres obscures senza uscite evidenti, galleggiamenti alcolici, fiammelle di accendini che esplorano facce invisibili, corpi offerti in ardita esposizione, fantasmi perduti in vaghi labirinti appesantiti da un buio palpabile ed odoroso, con sodomie negli angoli prive di controllo e approcci e pompini alternati.
Per terra, incarti argentati e scivolose gomme di preservativi, un tappeto.
Peni branditi come spade uno di fronte all’altro, nascosti e invitanti dentro pantaloni troppo attillati, corpi uguali che diventano, nell’istante rapidissimo dell’amplesso, femmine mansuete, scintillanti puttane dilatate e in attesa, col pene in riposo ridotto ad un semplice orpello. Lingue di bastardi, demoniaci ricordi che affiorano a tradimento durante inculate distratte, orifizi in perenne attesa che sbattono con movimenti leggeri quanto ali di libellula
E a volte, proprio lì, nel buio più profondo, tutta quella tenerezza che ti assale, impensabile, assurda tenerezza…
Sono stata una frequentatrice di dark room nei locali gay. Il fatto di essere scrittrice mi ha sempre garantito una sorta di extraterritorialità sessuale, e mi ha permesso di andare a vedere, anche per poi raccontare, per cercare di inventare un linguaggio che potesse descrivere quello che accade in luoghi di cui qualcuno ha persino paura a pronunciare il nome. Scrive Cyril Collard ne Le Notti Selvagge:" Periodicamente, a notte fonda, andavo verso un luogo santo avido di martiri. Era una vasta galleria sorretta da pilastri di cemento a sezione quadrata, costeggiante la Senna…Cercavo uomini viziosi, sessi duri, gesti umilianti, odori forti…Insudiciato, martirizzato, dopo l’orgasmo in riva al fiume stavo bene: fluido e limpido. Trasparente"
Nel caso di cui parla lui si tratta più che altro di un luogo di incontri, una dark all’aperto, ma le liturgie sono le stesse.
Non ho mai pensato che potessero esistere luoghi a me non consentiti per un fatto di genitali. Solo per il fatto di essere una donna, voglio dire. Da sempre. E poi questi posti bui, intricati e misteriosi, sono carichi di suggestione letteraria. La perdizione, gli incontri senza preamboli. Una canzone di Marlene Dietrich parla di "boys in the backroom", ragazzi nella stanza sul retro, che si divertono e godono. Ecco, ho sempre associato quella canzone alle dark room.
Non voglio farne un’esaltazione acritica, sono spesso luoghi di solitudine, di disperazione.
Ma la disperazione si nasconde anche altrove, ed è peggio, molto peggio, essere disperati e avere il vuoto tutto intorno, senza corpi a cui potersi stringere come naufraghi alla deriva .
Le dark room offrono corpi- scialuppa, e non è poco, non è davvero poco, a volte.
Io, bimba-gambe aperte, sola sotto le coperte a guardarmi i capezzoli leggermente induriti, sogno concerti di mani, sconosciuti senza faccia e gemiti liberatori, come in coro, io bimba cattiva che si sente uomo a volte, ma anche provocatrice e avventuriera, un po’ puttana, disubbidisco ed entro nella stanza buia, fatemi fare un girotondo dentro al labirinto e poi potrete sculacciarmi, se vorrete…
Ho incontrato ragazzi scandalizzati per la mia presenza, e altri deliziati, pronti a realizzare in quella oscurità protettiva il sogno di una perfetta dualità, di una completezza solo sognata. Mi sono molto divertita nelle dark room, e spesso , coi compagni di fugaci amplessi ho bevuto cointreau senza ghiaccio ritrovando fra le luci avvolgenti del locale la stessa complicità.
La più bella, quella che ho amato di più è stata quella di un locale bolognese che si chiama Pachito. E’ stata la mia terra d’esilio, il mio riparo, il mio mondo per anni. Dicevano che facevo parte dell’arredamento, come le fioriere. E poi il Flexo di Padova, con sotterranei ricchissimi di anfratti, paradisiaci gironi tutti da esplorare per realizzare le geometrie più variabili.
Adesso vado spesso a Marsiglia ed entro nella piccola dark di un locale delizioso l’ENIGME, dietro il Porto Vecchio.
Fra la musica e le nuvole fumose dell’ENIGME, fra idiomi sconosciuti nei quali riconosco le parole del godimento e del piacere, a cercare la risposta all’ENIGMA dell’identità, che forse non è l’unico o il solo.
Io credo che le dark room, tipiche del mondo gay e mutuate poi dal mondo eterosessuale nei club privè, con diverse modalità, rispondano a un bisogno antico e un po’ animale che ci appartiene. Aiutano a superare la timidezza e concedono il brivido dell’incontro sessuale con ombre furtive che dopo non si vedono più. Danno sollievo per un po’, perché a volte la solitudine fa proprio male, è un dolore fisico, una specie di fitta.
L’unico dovere è entrarci consapevoli. Entrarci con preservativi che non sempre vengono venduti nei locali, anche se dovrebbero. Entrarci cercando il piacere, il brivido di un corpo, non una roulette russa con la propria salute. Tenere lontano lo stupido desiderio di giocare a dadi col destino.
Questo è l’unico dovere.
Poi potreste anche innamorarvi e portar fuori il vostro fantasma per vederlo alla luce del sole. O potreste stampare sul vostro corpo il piacere di un corpo gemello, capace di lasciare un segno nitido come una tatuaggio.
O essere solo scrittrici- avventuriere curiose di infiltrarvi nei luoghi sommersi dove l’uomo si toglie le maschere e si rivela.
Di Sesso e Dark si discute nel forum
di Francesca Mazzucato
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.