MILANO – In Francia la Fideuram Wargny, filiale di San Paolo Imi, corteggiò i gay con una pubblicità su “Tetu“, rivista per gay e lesbiche. Lo stesso fece la Fiat con la sua “Barchetta” osannata dalle pagine di “Gab, das gay magazine“. Da noi le aziende italiane restano ancorate quasi tutte all’ambiguità o al silenzio. Se Gay.it è riuscita con anni di lavori e di sforzi a ottenere in questo senso importanti risultati, avvicinando grandi aziende, le reticenze degli investitori sono ancora molte. E alcune aziende lasciano ancora oggi Gay.Tv alla deriva, dimenticando indagini di mercato che consigliano investimenti remunerativamente ottimi.
Francesco Italia, direttore di rete di Gay.Tv, ha tempra e costanza, non si arrende, sa che i mercati italiani potrebbero aprirsi non solamente ad un nuovo business ma anche a dare civiltà e sensibilità al paese. Più di mezzo milione le persone che quotidianamente guardano Gay.Tv; la compilation Movin’out, lanciata il 13 febbraio è entrata nella classifica Fimi/Nielsen, a dimostrazione che investire in un network gay si può. Alcuni inserzionisti si sono fatti avanti, ma Gay.Tv ha bisogno di altre risorse.
Francesco cosa ha determinato la crisi di Gay.Tv?
Le difficoltà sulla raccolta pubblicitaria, legata non solamente al fatto che ci rivolgiamo a un pubblico limitato, ma anche perché in Italia non vi è ancora una cultura del satellite. Poi c’è il marchio di rete.
Chiamare un’emittente televisiva Gay.Tv non paga?
In Italia il nostro logo non ci dà la possibilità di avere un pacchetto clienti. Mi è capitato di parlare con persone disposte a darci una mano, imbarazzate poi a proporre Gay.Tv. Si badi, non per i contenuti, visto che la nostra tv è riconosciuta in termini di qualità dagli stessi dirigenti Sky, ma per il marchio.
Una posizione farisàica visto che Fiat, Telecom e altri investono pubblicità sui mass media gay europei.
Purtroppo da noi la struttura culturale e politica subisce un’influenza doppia della chiesa cattolica, di quanto questo succede nei mercati esteri. Per questo stiamo contattando investitori presenti in Italia passando attraverso direzioni marketing straniere. Mi sento di affermare che a livello socio-economico da noi le persone che occupano posti di potere hanno idee obsolete rispetto ai colleghi stranieri, più giovani, ricettivi e attenti ai target di mercato che non alle masturbazioni morali.
Potrebbe trattarsi di omofobia?
Penso più alla paura di esporsi, di prendere una posizione precisa. Ho sentito tanti direttori di marketing affermare che un prodotto pubblicizzato da noi rischiava di essere legato al mondo omosessuale e quindi penalizzato.
Ti sembra normale?
Una stupidaggine, visto che chi ci guarda è gay o gayfriendly; mentre chi non ci ama non vede Gay.Tv, quindi il problema non si pone. Eppure, la L’Oreal che ha creato una linea per il mercato gay, ha detto che non intendeva fare spot sulla nostra tv. Una palese contraddizione.
Tutta italiana e non certamente la sola.
Racconto una cosa che ha dell’incredibile. Recentemente abbiamo attivato delle numerazioni uniche con i gestori telefonici per accedere ad una gamma di servizi sms che, oltre a creare business per la televisione dava un servizio al pubblico. Ci siamo rivolti ad una società di servizi, terza rispetto ai gestori e a noi, per mantenere i rapporti con i gestori telefonici. Siamo andati da Vodafone e Wind senza problemi. La Tim, che detiene il 40% del mercato telefonico, è stata ritrosa e ci ha chiesto del tempo. Dopo mesi di silenzio assoluto e continue sollecitazioni ci, hanno risposto che Gay.Tv non rientrava nelle loro strategie di business perché si riferisce a un mercato ristretto. Non solo! Tim non farà mai nulla con Gay.Tv perché da un punto di vista editoriale, non abbiamo i requisiti richiesti. La nostra società – hanno puntualizzato – non investe nel settore erotico. A nulla son valse le precisazioni che la nostra non era una tivù porno. “Non ci interessa” è stato il laconico commento.
Ma le “hot line” telefoniche veicolavano su linee Telecom.
Già, ma non è finita. Quando pensavamo di rinunciare a questa cosa, si presenta una nuova agenzia di servizi, in grado di offrirci il collegamento attraverso dei numeri in loro possesso. “Cambiando dei codici – precisano – noi possiamo veicolare il traffico che viene da Gay.Tv. Avvisiamo Tim e partiamo”. Invece arrivò la telefonata del responsabile dell’agenzia di servizi che si dichiarò dispiaciuto, non solo professionalmente, perché Tim non aveva alcuna intenzione di assicurare il servizio per una questione di immagine.
Ma così il bacino di utenza ristretto…
Va a farsi benedire. Per come hanno agito si tratta di discriminazione e di voler cancellare dall’esistente il mercato gay. E’ bene che i loro utenti lo sappiano.
State trattando con nuovi soci?
Ci sono proposte di varia natura che stiamo valutando. Gay.Tv non ha debiti ma necessita di grandi investimenti.
Abbonamenti con o senza Sky?
Gay.Tv nasce come un progetto free. Questo vuol dire che siamo visti anche in Paesi, come nel Nord Africa, in Egitto, in Iran, dove i gay rischiano anche la pena capitale. Noi diamo forza alle persone che vivono in questi posti.
Francesco, avete tolto dei programmi.
Abbiamo dovuto rinunciare ad alcuni programmi, per gli alti costi di realizzazione, come “Quantestorie” e “Pink”. Un arrivederci non un addio. Ci fosse uno sponsor…
Fabio, Luca, Diego, Mattia e gli altri come vivono questo momento?
Mattia, in particolare, per noi è una figura importante perché è colui che mantiene i rapporti con tutto il mondo delle associazioni. Fabio ci dà grandi soddisfazioni col suo programma “Voci”. Luca, Katamashi, tutti i ragazzi, sono la spina dorsale della nostra emittente con una professionalità di alto livello.
“Queer as Folk”?
I diritti della seconda e terza stagione sono nostri. Resta il programma più visto, anche se non rappresenta nel reale il mondo gay, ma dobbiamo ringraziare il responsabile delle acquisizioni, Giampaolo Marzi che ha fatto un colpaccio.
di Mario Cirrito
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