Un angelo di nome Derek

Da non perdere questa sera al Festival Mix il sorprendente documentario ‘Derek’ di Isaac Julian presentato da Tilda Swinton in persona. Domani in chiusura la graziosa commedia 'Breakfast with Scot'.

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Quando qualche anno fa intervistammo James Mckay e Leonardo Treviglio, rispettivamente produttore e attore feticcio dell’ineffabile Derek Jarman, ci colpì una frase pronunciata da Mckay e contestata da Treviglio: “Jarman aveva un’idea politica della sessualità”. “Solo negli anni Ottanta – ribattè un po’ urtato l’attore -. Negli anni Settanta era molto riservato, solo dopo si politicizzò”. Questa doppia anima del ‘grande cineasta dell’era Thatcher’ emerge con limpidezza nel sorprendente documentario ‘Derek’ di Isaac Julien, momento alto della programmazione del Festival Mix-gaylesbico di Milano, presentato questa sera alle 20.30 nientemeno che dal premio Oscar Tilda Swinton che si trova in città per girare il nuovo film di Luca Guadagnino ‘Io sono l’amore’.
Un documentario assolutamente imperdibile, questo ‘Derek’, costruito su due piste parallele, un’intervista frontale a Jarman nello studio del suo cottage di Dungeness realizzata dall’attore/produttore Colin MacCabe nel 1990 e un testo in voiceover della sua musa Tilda Swinton mentre passeggia per Londra, ‘Lettera a un angelo’, scritta nel 2002, otto anni dopo la morte di Jarman. La Swinton descrive a tutto tondo, con una passionalità trascinante e struggente, il ‘Pianeta Jarmania’, ossia ‘il circo diverso’ in cui si ritrovò quando conobbe Derek, mettendo in evidenza la chiara minaccia che il cinema commerciale contemporaneo possa strozzare la produzione indipendente.
 

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“Eri la prima persona da me conosciuta che potesse spettegolare su Tommaso D’Aquino e contemporaneamente tenere in mano una steadycam” spiega sarcasticamente. Ciò che le manca, ora che non ci sono più film di Jarman, sono, tra le altre cose, “la gioia, l’arroganza, la resistenza, l’arguzia, la lotta, i colori, la grazia, la passione, la bellezza”.  Nell’intervista testamentaria a MacCabe, Jarman già malato di Aids ripercorre la sua esistenza dai filmini dell’infanzia con sorellina e genitori, alla frequentazione del King’s College e a rari reperti d’archivio in Super8 sugli esordi sperimentali degli anni ’70, miscelati sapientemente a immagini della ribollente Swinging London su cui si innesta velocemente l’onda pre-punk e la rivoluzione/ribellione sessuale e iconoclasta antitatcheriana che darà vita alla fase più politicizzata della produzione jarmaniana. Si analizzano soprattutto le influenze del Jarman pittore, da Caravaggio a Warhol e Hockney, i grandi nomi che lo introdussero all’arte – Ken Russell per cui fu scenografo, Tennessee Williams visto a una festa – le infatuazioni musicali, dai Sex Pistols ai Pet Shop Boys, nonché la sua grande passione per il giardinaggio (il suo celebre appezzamento-scultura di jucche e pietre a Dungeness), attraverso un flusso di coscienza ipnotico e lisergico visivamente assai intrigante.

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Chiuderà il festival, domani sera, la gradevole commedia canadese ‘Breakfast with Scot’ di Laurie Lynd su un vivace undicenne riccioluto, orfano di madre, che viene affidato temporaneamente allo zio gay Sam e al suo compagno Ed, un ex campione di hockey, impiegato come cronista in una redazione sportiva televisiva dove tiene ben nascosta la propria omosessualità. Al contrario del ragazzino effeminato che, tra travestimenti piumati e una passione sfrenata per lo shopping, ha le idee molto chiare riguardo alla sessualità e spesso si azzuffa con i compagni di classe omofobi, creando non pochi problemi alla tranquilla coppia gay. Il personaggio del ragazzino determinato ricorda vagamente il protagonista della commedia belga ‘Ma vie en rose’ e rappresenta la coscienza ‘liberata’ del problematico Ed. 

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Risultano interessanti sia il ribaltamento dei ruoli – figlio adottivo dichiarato e patrigno ‘closeted’ – che dimostra quanto le nuove generazioni siano in grado di rappresentare degli interlocutori attivi riguardo a integrazione e tolleranza, sia la delicata questione dell’omoparentalità adottiva (“Non è tuo figlio”, ricorda Sam a Ed quando vuole imporgli i suoi precetti educativi).
I ritmi sono un po’ televisivi e il buonismo incombe, ma ‘Breakfast with Scot’ ispira una certa grazia e simpatia.

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