Frettolose e senza farsi mancare una buona dose di senso di colpa: le benedizioni pastorali alle coppie dello stesso sesso – consentite in base alla recente dichiarazione Fiducia Supplicans – non dovranno durare più di 15 secondi.
Senza Rituale né Benedizionale, per distinguerle dalle benedizioni liturgiche e ritualizzate, poiché esse “non sono una consacrazione della persona o della coppia che le riceve, non sono una giustificazione di tutte le sue azioni, non sono una ratifica della vita che conduce“.
Ma soprattutto, dovranno includere un discorso standardizzato, sulla falsariga di quello contenuto nella nota del Dicastero per la Dottrina della Fede firmata dal cardinale prefetto Victor Manuel Fernandez e dal segretario Armando Matteo:
“Signore, guarda a questi tuoi figli, concedi loro salute, lavoro, pace e reciproco aiuto. Liberali da tutto ciò che contraddice il tuo Vangelo e concedi loro di vivere secondo la tua volontà. Amen”. Segno della croce, e liberi di andare.
Naturalmente, la “cerimonia” non si considera contestuale al rito civile di unione e nemmeno lontanamente in correlazione. In breve, la coppia non potrà presentarsi in abito formale né organizzare niente che possa lontanamente ricordare un matrimonio. Anche perché la benedizione dovrà svolgersi ben lontano dall’altare e da qualsiasi altro posto “importante” dell’edificio sacro, per “non creare confusione”.
Nel documento, si sottolinea più volte come il “contentino” offerto alla comunità LGBTQIA+ non vada in nessun modo ad intaccare la dottrina sul matrimonio, in risposta alle numerose obiezioni e opposizioni ricevute in seguito al via libera alle benedizioni per le coppie omosessuali. Sarà inoltre a discrezione dei vescovi decidere se applicare la “Fiducia Supplicans” per chi la chiede.
Si ribadisce poi – nel caso non fosse stato specificato sufficienti volte – che il matrimonio rimane “un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli”, e che nel benedire le cosiddette “coppie irregolari” sarà quindi necessario fare una distinzione ben precisa, per evitare di “creare confusione tra ciò che è costitutivo del matrimonio”.
Insomma, si entra in Chiesa e si esce, il prima possibile, senza attirare troppo l’attenzione – e possibilmente un po’ più tormentati internamente di prima. Del resto, l’obiettivo di questa apparente apertura alla comunità LGBTQIA+ pare essere ben chiaro, stando alle parole del Dicastero:
“Ha senso negare questo tipo di benedizioni a queste due persone che la implorano? Non è il caso di sostenere la loro fede, poca o molta che sia, di aiutare le loro debolezze con la benedizione divina, e di dare un canale a questa apertura alla trascendenza che potrebbe condurli a essere più fedeli al Vangelo?”.
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È un' umiliazione per qualsiasi persona con un minimo di intelligenza, vorrei , anche se ho sessant'anni e una famiglia,incontrarmi con questi geni della chiesa e umiliarli in egual misura.Ecco perché a parte pro vita,ci si allontana sempre di più dalla chiesa come istituzione!!!