Norma Jeane come Laura Palmer. 10 anni dopo Cogan – Killing Them Softly, Andrew Dominik torna finalmente dietro la macchina da presa per adattare Blonde di Joyce Carol Oates, romanzo dedicato alla più iconica donna del ‘900. Marilyn Monroe, trovata in casa senza vita 60 anni fa, il 4 agosto del 1962, entrando nel mito.
10 anni dopo My Week with Marilyn di Simon Curtis, che vide Michelle Williams strappare una nomination agli Oscar come miglior attrice, è toccato alla cubana Ana de Armas indossare gli abiti dell’indimenticata Monroe, riportata in vita da Dominik con tutte le sue contraddizioni e fragilità, all’interno di un biopic atipico, sicuramente poco didascalico, perennemente in bilico tra realtà e illusione, incubo ad occhi aperti di lynchiana costruzione, con Nick Cave e Warren Ellis ad omaggiare (non volutamente, a quanto pare) Angelo Badalamenti in un finale che sottotraccia si domanda: “Chi ha ucciso Norma Jeane?”.
166 minuti di durata per ricostruire l’esistenza di una bambina indesiderata diventata donna amata, sfruttata, abusata, sessualizzata, abbandonata, tendenzialmente sottovalutata. Dominik ripercorre con audacia 30 anni di vita segnata dall’assenza del padre, mai conosciuto, e dai deliri della madre, mentalmente instabile. Finita in un orfanotrofio prende forma l’inferno di Norma, più volte violentata, anche in giovanissima età, da produttori senza scrupoli che vedono quella magnetica finta bionda come un semplice pezzo di carne da palpare, mordere, masticare e poi sputare. Nasce Marilyn Monroe, il personaggio, l’oca tutta curve che fece impazzire il mondo. Da una parte l’io pubblico, dall’altra quello privato, l’io indesiderato, l’io chiamato Norma, che fatica a sdoppiarsi, a vivere due identità tanto distanti.
Una ricostruzione audace, per quanto minuziosamente veritiera nel riportare in vita momenti realmente immortalati con migliaia di video e foto, tra fantasia (tanta) e verità (forse troppo poca?), con una lenta ma inesorabile discesa negli inferi che si fa onirica e orrorifica. Dominik coglie prepotentemente la libertà creativa concessagli da Netflix, dando forma ad un’opera dalla messa in scena indubbiamente ammaliante, straniante, con il colore che si alterna al bianco e nero, corpi e volti distorti che lasciano spazio a traumatici flashback, lembi di pelle strappati a forza e rivoli di sangue.
Ana de Armas è una Norma Jeane che non vuole essere Marilyn Monroe, costretta ad essere Marilyn Monroe da un mondo che non vuole altro se non Marilyn Monroe. La 34enne attrice cubana si è fisicamente ed emotivamente concessa ad Andrew e all’iconico personaggio, frenato da una scrittura che fatica a coglierne l’evoluzione. Che di fatto non esiste. La Marilyn di Ana de Armas è una bambola di pezza completamente in balia degli eventi, umanamente devastata dall’inizio alla fine, forzatamente posticcia, perennemente in lacrime, sull’orlo di un crollo emotivo. Il ruolo di un’intera carriera per De Armas, che ha mutato voce e accento dando vita ad una donna insicura, playmate in lotta con lo specchio, venerata attrice tenuta in piedi dagli psicofarmaci, figlia mai amata alla disperata ricerca di amore, diva mai diventata madre, pur avendolo a lungo sognato. Ma la sua Norma che non vuole essere Marilyn non riesce mai a scrollarsi di dosso una raffigurazione lacrimosa, da madonna laica di Civitavecchia, che a lungo andare depotenzia il dramma vissuto da una sottovalutata attrice entrata nel mito con una decina di film.
Dominik, anche sceneggiatore, ripercorre i principali successi cinematografici (compreso il complicatissimo set di A Qualcuno Piace Caldo) e soprattutto i grandi amori di Norma, escluso il primo matrimonio con James Dougherty. Il menage-a-trois che fece scandalo con Cass Chaplin e Eddy G. Robinson Jr, figli di Charlie Chaplin e Edward G. Robinson; il 2° matrimonio con Joe Di Maggio, che la picchiò in hotel dopo aver assistito al ciak della celeberrima scena della gonna alzata dall’aria della metropolitana in Quando la moglie è in vacanza; il 3° e ultimo matrimonio con il commediografo Arthur Miller, segnato dai 3 aborti (con tanto di discussa e discutibile soggettiva dal coccige e feto parlante) che fecero precipitare Jeane in un profondo e irrecuperabile dolore. Immancabile, e inevitabile, John Fitzgerald Kennedy, con una scena che farà certamente a lungo parlare di sè.
Il “presidente” è nudo, a letto, e viene rappresentato come un predatore sessuale, con Norma costretta ad una fellatio. Dominik si sofferma sul primo piano di Ana de Armas che succhia inorridita il pene eretto di Kennedy, coperto dalla sua mano, ingoiando vergogna e sensi di colpa. Un mito d’America fatto a pezzi in 10 minuti, seminando voluti dubbi sulla successiva morte di Norma, trovata senza vita nella camera da letto della sua casa di Brentwood, a Los Angeles, il 5 agosto 1962, all’età di trentasei anni. L’autopsia parlò di probabile suicidio, tramite un’overdose di barbiturici, ma da 60 anni la sottotrama complottistica che voleva i Kennedy direttamente coinvolti nella sua morte continua a calamitare adepti.
Un universo costellato di traumi, paure, violenze, illusioni, sogni, tutto o quasi orientato sull’aspetto carnale, fisico, di un’icona qui violata. La Marylin Monroe di Blonde è un oggetto del desiderio che voleva semplicemente essere figlia, madre, moglie, donna, Norma Jeane. Uccisa dalla sua stessa creazione, dalla quale mai più riuscì a staccarsi.
Dominik pennella momenti di grande cinema, grazie ad una regia particolarmente ispirata che obbliga lo spettatore ad abbracciare una realtà allucinatoria, inciampando però sulla ridonanza di un malessere che non riesce mai a scuotersi, a riemergere, annegando in situazioni che ciclicamente si ripetono, mostrandoci la medesima Norma per oltre 160 minuti. Piagnucolante, sempre e solo vittima di sè stessa e degli altri, finendo per risultare quasi respingente.
Tutte le principali scene del film seguono illustrazioni esistenti maniacalmente ricreate dal regista, a voler quasi bilanciare gli eccessi romanzati, lynchiano nel costruire un mondo allucinogeno, inquietante e privo di scrupoli, che stritolò una donna inizialmente salvata dall’invenzione di un alter-ego, Marilyn Monroe, per poi esserne travolta.
Voto: 6
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