GAY PRIDE 07: I LETTORI VOTANO ROMA

Ecco i risultati del sondaggio lanciato da Gay.it per sapere quale città vorreste che ospitasse il prossimo Pride nazionale. La capitale distacca nettamente Bologna: ecco i perché.

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Lo scorso ottobre abbiamo dedicato alla discussione sulla città che avrebbe dovuto ospitare il prossimo Pride nazionale un primo articolo dove vi invitavamo a votare tra le due principali candidate, Roma e Bologna, e inviarci anche i vostri commenti sui perché della vostra scelta. Dai tantissimi voti è emersa come forse prevedibile vincitrice Roma, col 50,3% delle preferenze. Bologna è stata votata dal 28,7% dei partecipanti mentre si è inserita anche Napoli, suggerita dal 2,5% di voi.

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Altri suggerimenti, tra il serio e il faceto: Firenze, Palermo, S. Benedetto del Tronto e persino San Francisco e il Vaticano. Tra chi ha votato per la capitale sono state varie le motivazioni: per «attirare l’attenzione delle istituzioni (Governo e Parlamento) sui diritti dei gay e sui PaCS e combattere l’omofobia crescente diffusa dalle alte sfere vaticane, che cercano prepotentemente di influenzare la politica nazionale a discapito della laicità dello Stato italiano che sta diventando una sorta di teocrazia», perché «a Roma c’è il Mieli», perché «a Roma non ci possono ignorare le istituzioni», perché «bisogna insistere nei posti “visibili” ai politici» oppure, piu’ semplicemente, per la «centralità geografica».
Il fronte pro-Roma

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Altre motivazioni espresse a favore di Roma sono state: «credo sia importante farlo nella capitale, sede del Vaticano..fonte di molti problemi per coppie omosessuali»; «Bologna mi piacerebbe molto ma Roma è politicamente più utile, sfilare davanti a questa chiesa orribile sarebbe molto bello»; «contro gli integralismi di Ratzinger e gli atteggiamenti supini nei suoi confronti di Prodi e degli altri, nulla può essere meglio di Roma!»; «dato che a Israele il papa è entrato a gamba tesa per un no, facciamo il Pride a Roma»; «È la capitale della politica italiana, hanno voluto il nostro voto, noi oggi vogliamo i nostri diritti: ricordiamoglielo scendendo in piazza!»; «Premetto che sono un simpatizzante di Arcigay, ma in questo momento politico è a Roma che il movimento gay italiano deve manifestare il massimo della sua visibilità per rivendicare innanzi alle sedi del Governo e del Parlamento una legge sui Pacs»; «capitale gay fin da tempi antichi»; «perché è la capitale non solo dello Stato italiano ma anche del mondo cattolico avverso alla nostra emancipazione e ai nostri diritti…»; «in tutta Europa i Pride si svolgono nelle capitali e lì si può anche simbolicamente avere maggiore visibilità, più che mai nell’attuale arretrata situazione italiana»; «è il centro del potere politico, così ricordiamo loro le promesse fatte…e poi cosi possono partecipare quelli del Vaticano!»; «È o no una manifestazione nazionale? Si vogliono o no dei diritti civili riconosciuti dal governo nazionale? Ci si aspetta o no una partecipazione comunitaria nazionale? Bene, la capitale è una, fino a prova contraria. Il resto dei discorsi e delle motivazioni sono noia: a Bologna ci si và a ballare o a far turismo. Un’altra volta magari…»
Il fronte pro-Bologna

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Tra le motivazioni: «Bologna rappresenta il movimento GLBT…»
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Il fronte pro-Bologna

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Tra le motivazioni: «Bologna rappresenta il movimento GLBT e la sinistra, da lì deve partire un confronto anche duro con la sinistra chiamata a rappresentare le istanze dei propri elettori»; «Da sempre Bologna ha appoggiato la causa omosessuale, dandone per prima la visibilità in questo stato pseudo laico e assumendosi per prima attenzioni seppur limitate di sdegno in alcuni casi e di appoggio in altri, non per nulla la sede dell’Arcigay si trova qui…e non è certo un caso»; «è sicuramente meno problematico che a Roma, in più la città è più piccola e non c’é speranza di far passare il corteo in strade meno frequentate. Ricordiamoci che l’importante è essere visti! Se nessuno ci vede non esistiamo!»; «perché un Pride a Bologna godrebbe di tanta partecipazione anche di etero essendo una città gay-friendly»; «Premetto che non sono di Bologna, ma credo sia giusto che una ricorrenza importante come quella del Cassero sia festeggiata adeguatamente..per Roma c’è sempre il 2008!».
Ma c’è anche altro…

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Ovviamente l’Italia è grande, siamo tanti e non mancano altre opinioni. Ad esempio Torino ha avuto un buon numero di segnalazioni («perché il gay pride di Torino è stato stupendo!») e più in generale altri preferirebbero evitare la capitale «perché Roma non può avere il monopolio del gay pride, che servono anche altrove: Padova, Bari, Torino lo hanno dimostrato». Per il nord c’è chi ha proposto Trento, «città del Concilio Vaticano, realtà periferica che con la propria autonomia speciale ha già riconosciuto alla comunità GLBT alcuni diritti, i paesaggi meravigliosi ed una radicata tradizione cattolica da scuotere». Per il sud c’è chi ritiene che «un gay pride in Sicilia metterebbe alla luce un cambiamento che è già avvenuto nella realtà siciliana», inoltre «gli omosessuali sono apparentemente inesistenti, ma sappiamo tutti che è falso io mi sono dovuto trasferire al nord a 1.400 km per essere sereno». Per molti il luogo in se non è essenziale, quanto la voglia di partecipare e di far sentire la propria voce: «scrivo Bologna, ma anche Roma potrebbe essere positivo, l’importante è fare una manifestazione importante e imponente per dimensioni: per lasciare il segno e provare a “contare”».
Lo Zingarelli

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L’edizione 2007 del notissimo vocabolario Zingarelli (Zanichelli Editore) registra per la prima volta l’introduzione della voce “Gay Pride”. Immaginiamo col sommo disappunto di chi vorrebbe che gli omosessuali continuassero a vivere la loro vita in modo nascosto, colpevole e invisibile. Coloro che consulteranno il prezioso volume troveranno scritto che «da “gay” deriva “Gay Pride”, ovvero l’orgoglio di essere omosessuale e per senso esteso una manifestazione organizzata per attestare pubblicamente la propria omosessualità». Piccoli ma importanti segni di un processo verso l’uguaglianza che passa necessariamente attraverso quello delle manifestazioni pubbliche, sulla traccia dei movimenti di emancipazione degli afro-americani (in America, principalmente) e delle donne (ovunque).
Il Gay Pride è una manifestazione che per sua natura, coinvolgendo un gran numero di persone tra partecipanti e spettatori, si presta a diverse letture e interpretazioni. Complici le sapienti imbeccate di chi non lo vede di buon occhio c’è chi si prodiga sempre a liquidarlo come una semplice “carnevalata”. Una critica miope, limitata agli aspetti di maggiore visibilità mediatica (carri, travestimenti, provocazioni eccetera, spesso amplificati) e che ne ignora volutamente le origini, la storia, il significato.
Casomai lascia un po’ perplessi il fatto che su questa linea si adagino anche personaggi che in termini di visibilità hanno tutte le carte in regola per poter parlare. Come il recente caso di Paolo Poli che, in una peraltro gustosissima intervista pubblicata dal Corriere della Sera ha detto che «i Gay Pride mi mettono una tristezza infinita, come il Carnevale di Viareggio». Poli parla da personaggio pubblico, uno che da anni ha brillantemente fatto della propria arte e di ogni intervista un personale “gay pride” quotidiano. Liberissimo di non andarci, ma dispiace che non si renda conto di parlare da un palcoscenico privilegiato: per un gay o una lesbica cresciuti nella provincia ancora bigotta e arretrata l’importanza e l’impatto del Pride è certamente molto grande. Ben diverso l’atteggiamento di un grande del teatro (e del cinema) britannico come Ian McKellen che ai Pride è sempre ben presente, che è tra i fondatori dell’associazione Stonewall e che evidentemente col suo consapevole darsi da fare pubblicamente ha dimostrato di pensare non solo a se stesso, ma anche agli altri: perché le grandi manifestazioni GLBT nella capitali dell’occidente democratico sono un faro di libertà per tutti quei milioni di uomini e donne che vivono in parti del mondo dove ancora ci sono repressioni, anche penali, per il semplice fatto di essere non eterosessuali.
Ai leader del movimento adesso il compito di trovare un filo comune col quale tessere la bandiera di una manifestazione che sia, al di la delle sigle della varie organizzazioni, davvero il Pride di tutti.
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