Fashion ecommerce: la moda salvata dal suo amante segreto (internet)

A che punto è l'industria della moda devastata dalla pandemia? Incursione tra colossi che si gettano sul digitale e piccoli nuovi casi di successo, tra millennials e Gen Z.

moda commerce
5 min. di lettura

So che è brutto dirlo, ma credo che se non ci fosse stata la pandemia a rivelare l’importanza dell’E-commerce nella moda forse oggi faremmo ancora tutti finta che l’esperienza di shopping online non sia per tutti ma solo per una cerchia di espertoni. Beh, svegliatevi, l’e-commerce è il futuro della moda, come fossero amanti segreti, moda e e-commerce conquistano sempre più spazio nei cuori dei consumatori.

Nella musica ci sono Spotify e Apple Music, nel turismo AirBnb o booking.com, e nella moda? A quanto pare nell’industria della moda non c’è un singolo attore online dominante. Da un lato all’altro del mondo da tempo è accesa una fight e in questo caso non sono i designer ma i finanzieri delle aziende quotate in borsa a combattere. In America c’è Amazon in Cina Alibaba. In mezzo i tre più potenti gruppi del lusso al mondo che sono Richemont, Kering e LVMH.  E c’è da aggiungere che negli ultimi mesi Richemont e Alibaba hanno annunciato di voler investire 1,1 miliardi di dollari in Farfetch. Mica spicci! Anche Kering ha aumentato la sua partecipazione in Farfetch con ulteriori 50 milioni di dollari, come facessero a gara a chi ce l’ha più lungo insomma. In questo modo due tra i più grandi gruppi del lusso hanno potenziato due delle più potenti piattaforme di e-commerce: Farfetch e Yoox/Net-a-Porter.

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Fino a qui tutto ok, se non fosse che i marchi di lusso sono arrivati in ritardo ad abbracciare l’e-commerce, ma alla fine ce l’hanno fatta, poiché quando la pandemia ha costretto a chiudere non hanno avuto altra scelta. È così che gli acquisti online hanno raggiunto i 58 miliardi di dollari nel 2020.

 

AMAZON

L’anno scorso Amazon ha intrapreso due iniziative: aprire specifiche vetrine virtuali in America e in Europa tra maggio e ottobre, per poi introdurre l’app Luxury Stores dedicata ai 150 milioni di suoi abbonati Prime. Qui i brand presenti possono controllare direttamente il modo in cui i loro prodotti vengono presentati, sciogliendo i nodi sulla mancanza di selettività dei prodotti proposti.

 

RICHEMONT-ALIBABA

Sull’altro versante l’alleanza Richemont-Alibaba in Farfetch sottolinea come il colosso cinese sia stato in grado di aggirare alcuni dei problemi che i marchi di lusso hanno con Amazon. Il suo Tmall Luxury Pavilion ha attirato con successo quasi 200 nomi di fascia alta. A causa delle recenti restrizioni sui viaggi internazionali, i consumatori cinesi, che rappresenteranno 178 miliardi di dollari di spesa nel lusso entro il 2025, e che erano soliti concedersi il lusso di acquisti all’estero, adesso lo fanno da casa (mica scemi). In sostanza, la partita per il dominio miliardario dell’online si gioca da un lato all’altro del mondo. Ma un settore estremamente dinamico come questo non esclude a priori che in futuro possano emergere altri competitor. 

SHEIN

Shein, il colosso cinese dell’ultra fast-fashion, è una vergogna per l’intero sistema moda:fondata da Chris Xu (questo nome potrebbe essere inventato) nel 2008, e inizialmente si chiamava She Inside.

L’idea fu quella di puntare sul digitale e sulla velocità della manifattura cinese per conquistare il mercato europeo e americano e competere con i più grandi marchi di fast-fashion. Ma cosa fa Shein? Shein prende le merci prodotte dalle sue fabbriche e le rivende direttamente al pubblico, senza intermediari abbattendo i costi.

A differenza di altri negozi di abbigliamento fast fashion, Shein non ha una sua identità o una sua estetica: si limita a intercettare le mode dei vari paesi e a riproporle il più velocemente possibile sul mercato locale. Perchè Shein sta uccidendo il sistema moda?

Per caricare 6.000 nuovi prodotti ogni giorno con un prezzo medio di £ 5,70, Shein, sta superando ASOS di sei volte il suo tasso di produzione, rinunciando alla sua etica a un ritmo simile.

Dopo aver già rubato a innumerevoli designer indipendenti, sottopagato i suoi dipendenti e creato una propria rete di discariche, Shein ha ora rivolto gli occhi ai grandi nomi della moda, tra cui Rick Owens , che è diventato l’ultima vittima dell’azienda. Vi bastano queste poche righe per non farvi più comprare stracci su questo sito?

MYTHERESA E MATCHESFASHION

Intanto in Europa la tedesca Mytheresa, ad esempio, ha registrato un fatturato netto consolidato di 450 milioni di euro per il 2020, in crescita del 19%.  Mentre Farfetch offre più di 3500 marchi, Mytheresa ne ha solo 250. Il numero ristretto le conferisce una posizione confortevole: Mytheresa non è il più grande tra i competitor, ma è sicuramente tra i più influenti. Da prendere in considerazione anche MatchesFashion, che ha dimensioni paragonabili a Mytheresa: già quattro anni fa, la sua valutazione si aggirava intorno al miliardo di dollari.

ZALANDO, THE YES, LYST

Zalando, creata in Germania nel 2008 inizialmente con il nome di Ifansho, poco alla volta si è infiltrato nel cervello e nei dispositivi di mezzo mondo offrendo una shopping experience da lobotomizzati dal momento che si sono affidati a molti influcencer nascondendo sempre di più l’autenticità che sembrava essere il motivo trainante dello shopping su questa piattaforma, tralasciando la sezione privè dove è possibile trovare capi dimenticabili a prezzi che restano comunque troppo alti.

Alla stessa categoria appartengono app come The Yes e il motore di ricerca di moda, anch’esso tedesco, Lyst. Ed io che pensavo che i tedeschi, come i polacchi, con la moda non c’entrassero niente, ma questo è un altro discorso.

Etsy

Su Etsy puoi sentirti come alla fiera dell’artigianato tutto l’anno ma senza i dolci tipici che accompagnano le giornate e le passeggiate degli Oh bej Oh bej. Ma li oltre ad acquistare puoi vendere, e all’inizio penserai di lasciare il tuo lavoro primario per vendere oggetti orrendi e privi di gusto.

RESALE (RIVENDITA): IMPREVEDIBILI PICCOLI ALLA RISCOSSA

E c’è dell’altro. Generazione Z e Millennial hanno sviluppato un modo diverso di guardare al bling-bling della moda già dalla fine del 2000. Così capita che dappertutto spuntino iniziative difficilmente controllabili, anche da miliardari cinesi, fondi di investimento o cordate di azionisti del private equity. Come è accaduto per Menage Modern Vintage, uh che storia divertente: da quando la quarta stagione di The Crown è arrivata su Netflix, più o meno tutti siamo impazziti di desiderio per i colletti pie-crust, gli abiti floreali con maniche a sbuffo, le power jacket degli Anni Ottanta, e il Barbour indossati dalla principessa Diana. 

moda ecommerce

La costumista della serie, Amy Roberts, li ha trovati in una casa di Fitzroy Square a Londra, dove Chiara Menage, un’elegante ex produttrice cinematografica di 54 anni, gestisce uno shop di abbigliamento vintage online dal suo wc, altrettanto elegante. Il bello è che per alcuni item della collezione il 100% del ricavato viene devoluto a sostenere persone che soffrono di abusi domestici. 

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THE REALREAL, VESTIAIRE COLLECTIVE, DEPOP

Certamente può sembrare una nicchia, ma oggi il resale ha il fascino del nuovo, anzi forse è più esclusivo. Basti pensare che era stato avvicinato dall’industria del lusso solo attraverso peer-to-peer, come si fa su The RealReal, che vi consiglio perché si trovano pietre miliari della moda. Tra i giovani consumatori, è velocissima la crescita di nuove iniziative come l’inglese Depop, che però ha un servizio clienti pessimo, la francese Vestiaire Collective, che non frequento, ma che comunque rende il resale sempre più cool.

Questo vuol dire che quest’anno è stato come un momento di passaggio tra la realtà prima della pandemia e un periodo di ripresa potenzialmente prolungato per l’industria globale della moda. Il ritmo della ripresa varierà a seconda delle categorie, dei segmenti e delle aree geografiche. Insomma, staremo a vedere.

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