"Fellini teorizzava l’esistenza di tre categorie di omosessuali: il laido la checca e il velato". Così Moraldo Rossi in "Fellini & Rossi. Il sesto Vitellone". Il libro, scritto in collaborazione con Tatti Sanguineti ed edito da Le mani e Cineteca di Bologna è il racconto di una decade nella storia di Federico Fellini, attraverso i ricordi del suo migliore amico dell’epoca. Rossi è stato assistente alla regia di Fellini in quattro film: "Lo sceicco bianco", "I vitelloni", "La strada" e "Le notti di Cabiria". Doveva collaborare anche ne "La dolce vita", ma un po’ si ruppe le scatole, un po’ litigò col Federico e finita lì. Però Moraldo rimane. E’ il nome di Franco Interlenghi ne "I vitelloni". Omaggio al compagno di vita. Rossi arriva a Roma nel 1948, mandato dalla famiglia a difendere l’onore e la virtù di sua sorella Cosetta, neo miss Mestre e aspirante attrice. Diventerà Cosetta Greco, breve e fulgida stella del cinema italiano ed amante dello sposatissimo Pietro Germi. Sarà Germi, per insistenza della sua giovane amante, a trovare un posto da aiuto a Moraldo, in un film di un esordiente, ex vignettista e umorista del Marc’Aurelio: Federico Fellini.
L’inesperto Federico si innamora perdutissimamente di Rossi ed anche se i maligni insinuavano, non si trattava di un rapporto omosessuale. Vivevano in simbiosi, abbordavano i più bei culi di Roma nelle giornate di primavera. Uno di quei pomeriggi ci scappò anche il numero di telefono di una tale Sophia Lazzaro. "Un po’ frocetti…. Solo un po’." Scherza Rossi.
In sostanza si tratta di un volume gustosissimo, un excursus di quegli anni, fra comparse laide, produttori improvvisati, neo – realismo in agonia. Ed è soprattutto la nemesi di un grande regista descritta con le parole di un amico vero e quindi invidioso, acido, comprensivo, complice. E’ un’occasione per scoprire il cosiddetto mondo "felliniano" ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, ma in maniera diretta, senza intenti di alta critica cinefila.
Attori scoperti su qualche "divano", insospettabili velatissime, come Franco Fabrizi e un implume Franco Zeffirelli. A Venezia si annuncia il Leone d’argento a "La strada" ed un gruppo di claqueurs votati alla causa di "Senso" di Luchino Visconti, comincia a fischiare violentemente. Rossi ammolla uno sganassone al capogruppo, un biondino carino, che per la botta sputa il fischietto. I primi dolori del giovine Franco.
Una parte speciale del testo sono i brani su Pier Paolo Pasolini. Federico conosce Pasolini attraverso "Ragazzi di vita".
" Un bel libro sui ragazzi di borgata. In dialetto." Il piccolo sioux dai tratti marcati, il "muratorino" dal fisico nervoso, farà conoscere a Fellini il mondo delle baraccopoli, delle borgate ancora misere come favelas. Le puttane disgraziate, i ragazzi di vita, la miseria di quella Roma splendida e disperata servono a Fellini per "Le notti di Cabiria". Pasolini scrive anche i dialoghi per il film, ma non è cosa. Troppo realistici, troppo duri. Pasoliniani, non felliniani. E Pier Paolo non piace neanche alla Masina (che non ama nemmeno Moraldo, del resto): "Quello lì corrompe i giovani".
Nonostante tutto Moraldo Pierpaolo e Federico si trovano una sera a Piazza del Popolo a parlare d’amore, di fare l’amore.
Pasolini, salutando:" Ragazzi…. Io non ho dubbi… la cosa più bella del mondo è fare l’amore".
Fellini, stupito, a Moraldo:" Ma come fa quello.. a parlare d’amore.. lui che è un piglianculo"?!
di Paola Faggioli
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