Il titolo internazionale è inglese ma il film è francese: si chiama Sextape (in originale ‘A genoux les gars!’, ossia ‘In ginocchio, ragazzi!’) il lungometraggio vincitore della quarta edizione del Fish&Chips International Film Festival dedicato a sesso, erotismo e dintorni. La giuria composta da Titta Cosetta Raccagni, Davide Ferrario e Sandro Avanzo l’ha scelto perché “riesce a combinare un tema forte ed esplicito con uno stile di grande leggerezza, sostenuto da un gruppo di attrici e attori sorprendenti. Senza abusare di grafismi, affronta il tema del sesso tra i teenager immigrati di seconda generazione facendoci scoprire un mondo con ironica critica sociale e di genere”. Il regista Antoine Desrosières ha ringraziato attraverso un videomessaggio in cui appare completamente nudo: “Non è ammesso ma dovrebbe esserlo: è una cosa naturale!”.
La commedia goliardica fa sorridere in più punti – soprattutto quando appare un monumentale spacciatore di colore superdotato – ma ci è sembrato più una boutade tirata per le lunghe (il soggetto bastava per un cortometraggio: una ragazzina viene ricattata per aver fatto un video in cui fa un blowjob al fidanzato della sorella) che una riflessione argomentata sul tema del cosiddetto ‘slut shaming’.
Sono state assegnate anche due menzioni speciali: a Fuck Them All di Maria Beatty, “il racconto di una sessualità che supera ogni identità e categoria, che confonde e sposta un’idea del sesso normativa in una direzione di apertura e inclusione”, e a Cumper di Rosario Gallardo, definito “un film che annulla le differenze tra vita privata ed esperienza artistica. Lontano ma vicino alle produzioni indipendenti straniere si fa apprezzare per l’onestà delle spinte creative in cui l’aspetto estetico passa in secondo piano rispetto alle esigenze di sperimentare e sperimentarsi”.
Molti i titoli a tema queer presentati: nel dinamico melodramma polacco Nina di Olga Chajdas la relazione tra un’insegnante di francese e un meccanico desiderosi di avere un figlio è messa in discussione da una giovane ragazza lesbica, Magda, di cui Nina si invaghisce. La possibilità che Magda diventi la madre surrogata del tanto sospirato pargolo manda in tilt la coppia eterosessuale. La storia ha tensione, non è voyeurista nel rappresentare l’ambiente lesbico che Magda frequenta, è ben interpretata da un trio di attori fra i quali l’alchimia funziona (Julia Kijowska, Eliza Rycembel e Andrzej Konopka, assai bravi) e meriterebbe una distribuzione tradizionale.
Nel potente e disturbante doc Miss Rosewood di Helle Jensen scopriamo una drag queen statunitense specializzata in spettacoli estremi in cui simula performance scat, Jon Cory, di giorno restauratore di mobili antichi. Seguiamo la sua transizione da vicino – i dettagli sono abbastanza impressionanti -, la sua famiglia che in parte l’ha rinnegato (soprattutto il fratello), l’episodio shock in cui rovesciò un preservativo colmo sul pubblico dove c’era nientemeno che Leonardo di Caprio. L’aderenza con cui si seguono le vicende dell’espressiva Miss Rosewood la rende un’esperienza visiva fortemente provocatoria, in particolare il finale ‘oltre’ che omaggia a suo modo John Waters.
Il nuovo lavoro dell’anarcoide Bruce LaBruce è invece un ironico cortometraggio porno di venti minuti, Scotch Egg (Uovo alla scozzese) in cui un frequentatore di un sex club – all’inizio appare una prudenziale scritta del genere: “si avverte che viene rappresentato un fist fucking” – seduce una donna chiaramente travestita da drag king convinto che sia un uomo. La scena di sesso che ne segue ha del surreale e diverte. Produce Erika Lust per la collana XConfessions.
Si sono anche visti i corti hard The End e Lemon Taste con Pierre Emö, presente al festival, il quale alla nostra domanda su quanto ci sia di imbarazzante e di narcisistico nell’esporsi così tanto nelle scene sessuali, ha risposto: “Per me è naturale, non lo vedo come un lavoro. E mi sento protetto”.