“La rete degli invisibili” è il nuovo libro scritto dal procuratore Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, i quali dedicano un capitolo anche al rapporto omosessuale di alcuni boss mafiosi. Nella parte rivolta a mafia e omosessualità, il procuratore Gratteri parla di numerose intercettazioni in cui si è scoperto l’orientamento sessuale dei mafiosi. Nel libro si parla di incontri in locali per scambisti o con escort tra Milano e Reggio Calabria.
Secondo i due autori, all’interno della ‘Ndrangheta molti sono i mafiosi che vivevano alla luce del sole (o quasi) la loro storia d’amore omosessuale (o omoaffettiva), come ad esempio quella tra Sebastiano Musarella e Giovanni De Stefano. Ma questo capitolo contiene diversi errori sul binomio che riguarda mafia e omosessualità, secondo Mirella Giuffrè, Mamma A.GE.D.O. (Associazione GEnitori e amici Di Omosessuali). E’ stata lei che ha voluto rispondere al procuratore Gratteri, attraverso una lettera pubblicata su CityNow.it.
La lettera di A.GE.D.O. sul rapporto mafia e omosessualità
Mirella Giuffrè sottolinea il disagio che prova una persona omosessuale a dichiararsi alla famiglia e agli amici, mentre il procuratore nel suo libro tende a sminuire il boss mafioso per il suo orientamento sessuale.
Mi chiedo come può essere utile alla lotta per sconfiggere un sistema ‘ndranghetista l’aver portato alla luce una sfera di intimità che ogni individuo, aldilà delle sue attitudini delinquenziali, deve avere il diritto di preservare alla gogna sociale e mediatica.
Rivelare l’orientamento sessuale di una persona con l’intento di sminuirne la dignità è un atto meramente omofobo, soprattutto associando l’omosessualità di queste persone a trasgressione e devianza. Tutto ciò va ad alimentare quel substrato culturale in cui l’omosessualità (preferisco omoaffettività, ma Lei forse non comprende il termine) viene ancora considerata una scelta di trasgressione, in una società in cui ancora la discriminazione subita dai nostri figli porta a esclusione, a violenze e spesso a suicidi.
Si fa cadere “il mito” di un boss mafioso tutto d’un pezzo. Il tipo maschile e assolutamente etero al 100%. E si alimenta l’ignoranza nei confronti della comunità LGBT. Si apre a “mafia e omosessualità”. Come fosse qualcosa di nuovo, mai visto prima. Che la dipinge come un gruppo di persone che ama la trasgressione. O meglio, come se l’omosessualità fosse una trasgressione e una devianza.
Mirella Giuffrè conclude:
Lei probabilmente non comprende quanta sofferenza un ragazzo omosessuale affronta nel suo percorso di vita. Un disagio, prima di riuscire a dichiarare il proprio orientamento sessuale in famiglia e nella società. La difficoltà di essere liberi di vivere, innamorarsi e amare alla luce del sole senza essere discriminati. Con le Sue esternazioni ha offeso e strumentalizzato, forse per puri fini commerciali, una comunità che con immensa fatica lotta ogni giorno per vedere affermati i propri diritti che dovrebbero essere di tutti.
Mi sento di consigliarLe per i suoi prossimi libri di prestare attenzione nell’affrontare con tanta leggerezza argomenti così delicati che riguardano la sfera intima e personale di ogni persona e della propria famiglia.
Il caso di Ferdinando Caristena
Ora che il libro di Mondadori ha aperto la questione, riaffiorano anche alcuni casi che accomunano mafia e omosessualità. Uno di questi è quello riguardante Ferdinando Caristena. Questo era un uomo piuttosto conosciuto a Gioia Tauro, città in cui abitava e lavorava. Oltre ad avere diversi negozi d’abbigliamento, da sempre si vociferava sulla sua omosessualità.
Caristena aveva conquistato il cuore di Donatella Mazzitelli, imparentata con la famiglia di Girolamo Molè, affiliata alla ‘Ndrangheta. Caristena, però, anziché mostrarsi interessato alla donna, era attratto dal fratello di Donatella, il quale sembrava ricambiare le sue attenzioni. Quando la voce di questa relazione e il tradimento di Caristena verso la Mazzitelli si diffuse, la famiglia Molè dovette riparare.
Il 18 maggio 1990, due sicari si recarono in uno dei negozi di Ferdinando Caristena, crivellandolo di colpi. Un’esecuzione, una vendetta nei confronti del clan Molè, che non poteva accettare nella sua famiglia un omosessuale, colpevole per di più di tradimento.
quanta saggezza , buon senso e verita' nelle parole di questa donna. sottoscrivo tutto.