L’idea che la “propaganda queer” sia un veicolo per adescare e sessualizzare bambini e adolescenti è uno dei miti più strumentalizzati dalla destra conservatrice nella propria retorica anti-LGBTQIA+.
Si tratta di una fantasiosa teoria del complotto di cui si sente parlare già a partire dai primi anni del ventesimo secolo, ma ripescata e reinventata solo nel 2020 dalla corrente populista come ennesimo linguaggio d’odio rivolto alla comunità.
Secondo la “LGBT grooming conspiracy theory”, persone queer ed alleati verrebbero accusati di diffondere una propaganda estremamente sessualizzata e sessualizzante rivolta ai minori, con l’obiettivo di raggirarli e renderli più vulnerabili ad abusi. Nel linguaggio anglosassone, questa pratica prende il nome di “grooming”.
Ma cosa centra tutto questo con Meta?
Ebbene, secondo un’inchiesta di Media Matters – istituto di ricerca sui nuovi media –, Meta Platforms, società madre di Facebook, Instagram e Threads, avrebbe permesso al gruppo anti-LGBTQ+ Gays Against Groomers (GAG) di veicolare discorsi d’odio e disinformazione sulle sue piattaforme per oltre un anno.
In un rapporto pubblicato martedì, vengono descritti in dettaglio dozzine di casi in cui GAG avrebbe utilizzato i propri account Facebook, Instagram e Threads per diffondere false narrazioni, tra cui quella secondo la quale le persone trans siano “malate di mente” e che la comunità LGBTQIA+ incoraggerebbe la pedofilia.
Contenuti che sembrano violare chiaramente le politiche di Meta contro l’incitamento all’odio, le molestie e la disinformazione, eppure rimasti per oltre un anno sulle piattaforme dell’azienda.
Come rileva il rapporto, neanche la promessa di Meta di etichettare le informazioni false e fuorvianti come tali e penalizzarle nei feed è stata mantenuta per quanto riguarda i posti di GAG.
Gays Against Groomers “a piede libero”
Gays Against Groomers è un’organizzazione statunitense affiliata all’estrema destra e con posizioni anti-LGBT – nonostante il direttivo a maggioranza composto da esponenti della comunità.
È particolarmente conosciuta per la sua ferma opposizione alle terapie di affermazione di genere nei servizi di assistenza all’infanzia, per le proteste contro l’inclusione di temi LGBT nei programmi scolastici e per le critiche rivolte agli eventi come il Drag Queen Story Hour.
Dal suo lancio, il 6 giugno 2022, l’account Instagram del gruppo ha accumulato oltre 357.000 follower, circa 39.000 follower su Facebook e oltre 24.000 follower su Threads.
Inutile dire che le retoriche promosse da GAG siano in netto contrasto con le politiche moderazione progressiste in atto all’interno di Meta. Eppure, tali contenuti rimangono oggi accessibili. Ma non è certamente la prima volta.
Meta come Twitter? Alcuni suggeriscono una correlazione
Il problema della moderazione dei contenuti è particolarmente grave su Instagram, che ha una storia documentata di incapacità di gestire contenuti dannosi, specialmente quelli mirati alla comunità LGBTQIA+. Pugno di ferro invece su nudi artistici e immagini anche solo vagamente a sfondo sessuale.
Il problema di fondo non è quindi l’assenza di politiche di moderazione, bensì il modo in cui esse vengono – o non vengono – attuate. A seconda, naturalmente, del volume di traffico e dal valore monetario di un account.
Ad esempio, il nome e la missione dichiarata di Gays Against Groomers violano già di per sé le politiche di Meta. A giugno 2022, l’azienda aveva infatti confermato che le accuse infondate di “grooming” contro la comunità LGBTQIA+ fossero coperte dalle sue politiche che proibiscono l’incitamento all’odio.
Eppure, nonostante le violazioni, Meta non avrebbe intrapreso azioni significative contro gli account dell’organizzazione. Se anche piattaforme di pagamento come Venmo e Paypal scelgono di bannare organizzazioni come GAG, Meta continua quindi a trarre profitto dalle sue campagne sponsorizzate che propagano false narrazioni.
Media Matters unisce i puntini e suggerisce che il cambio di direzione in politiche di moderazione da parte di Twitter, ora rinominata X sotto la nuova gestione di Elon Musk, potrebbe avere un effetto domino su altre aziende, compresa Meta, che si sentirebbero autorizzate ad essere più “accomodanti” verso il linguaggio d’odio.
Se l’ipotesi dovesse essere confermata, segnerebbe l’inizio di una tendenza preoccupante, data l’influenza significativa che i social media esercitano nella modellazione dell’opinione pubblica e nel generare risposte e comportamenti al di là dell’ambito digitale.