Mi piace: provarci o rinunciare?

Mai ostinarsi dietro chi non ci si fila, è vero. Però nemmeno perdere le speranze. Perché gli uomini sono animali imprevedibili e, quindi, non si sa mai...

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Quando fai teatro con altri gay devi aspettarti di tutto. Non intendo orge selvagge nei camerini o zuffe per i costumi di scena più belli, ma agli spunti per questa rubrica. Come qualche mese fa, quando ero in scena insieme ad attori dichiaratamente omosessuali e altri dall’orientamento sessuale imprecisato e, giorno dopo giorno, venivano alla luce le esperienze di ognuno.

Uno dei miei compagni di scena, ad esempio, era stato sposato e poi, intorno ai quarant’anni, si era finalmente reso conto di preferire gli uomini. Un altro aveva addirittura una figlia nel nord dell’Europa. Per non parlare del regista che, alla fine delle repliche, aveva lanciato una scommessa per vedere chi tra tutti noi era stato a letto con più uomini, chi con più donne e chi con più trans. Convinto, naturalmente, di trionfare in tutte le categorie.

Ora, non vorrei far credere ai giovani che le tavole del palcoscenico siano appannaggio esclusivo di attempati libidinosi o che gli attori siano persone lascive, ma senza dubbio si tratta di personaggi curiosi, imprevedibili, capaci di regalarti le emozioni più preziose, i più inaspettati travasi di bile e non poche idee per parlare di sesso. Anche se, per non turbare le menti dei più ingenui, ometterò gli argomenti più scabrosi a favore di una considerazione quasi metafisica.

Tutto cominciò quando uno dei miei colleghi di scena – del quale tacerò il nome per rispettare la privacy di chi ha il conto nella sua banca – mi ha raccontato di un incontro in discoteca con «un uomo bellissimo che conoscevo da anni e che mi è sempre piaciuto, ma che non mi si è mai filato». Capita, direte. Ci sono centinaia di tipi che ci piacciono ma che non ci si filano. Non ci si filano oggi come non ci si filavano ieri, come non ci si fileranno domani.

Io stesso, quando ero più giovane e mi infatuavo di un bel ragazzetto in discoteca, finivo spesso per sprecare la serata appresso a lui nonostante incontrovertibili segnali negativi. Gli giravo intorno, lo guardavo, lo seguivo, lo tampinavo, mi avvicinavo a lui ben oltre i limiti dell’invadenza, a volte ci attaccavo bottone e ci provavo disperatamente senza risultato alcuno. Chi la dura la vince, pensavo. Poi, col tempo, mi sono reso conto che, per una che ti va bene, finisci per rovinarti almeno altre nove serate e perdere altre occasioni, per cui ho sostituito il motto con il più efficace "Chi la molla la vince", sostenendo la perfetta interscambiabilità dei maschi che si incontrano nei locali. Ma non divaghiamo e torniamo al mio attore.

Già, perché quella sera, in un contesto appartato e felicemente incline al peccato, ha finito finalmente per consumarsi un ormai insperato incontro ravvicinato. Un incontro oltretutto non indotto dall’insistenza del mio amico ma dall’improvvisa, inspiegabile volontà proprio dell’altro. "Ma che è stato?", ha finito allora per chiedersi il mio amico, decisamente sorpreso di un successo seguito a un repertorio di indifferenza più che decennale. "Io non capisco quella sera che gli è preso…".

In realtà si potrebbe trovare più di una spiegazione per il cambiamento: il riaccendersi primaverile degli ormoni, il fatto di poter vedere (e non solo) l’altro diciamo da una prospettiva differente, il fatto che noi uomini siamo sensibili ad alcuni ami. Non tutti agli stessi, lo ammetto, ma per smontare possibili obiezioni, vi basti pensare alla corposa tradizione eterosessuale di abboccamenti all’amo e di strategie di conquista del maschio da parte della femmina maliarda.

Per questo, se è vero che consiglio di non ostinarsi troppo dietro chi non ci si fila, aggiungo però che non ha senso nemmeno perdere del tutto le speranze. Perché non è detto che, chissà, la sera giusta, la situazione giusta, magari la cosa fatta al momento giusto e… Insomma, non voglio affermare che si possa riuscire a conquistare sempre chiunque si desideri (né tanto meno che possa poi sbocciare un grande amore), ma solo che ci possiamo togliere qualche soddisfazione quando meno ce l’aspettiamo. E poi chiederci con candore "Ma che è stato?".

Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.

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di Flavio Mazzini

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