Miranda July, amarsi senza cadere a pezzi – intervista

La regista e scrittrice ci ha parlato della la sua nuova mostra all'Osservatorio di Fondazione Prada a Milano, l'importanza della comunicazione, e come amarsi meglio.

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Miranda July (Vogue, 2020)
Miranda July (Vogue, 2020)
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Miranda July sa come comunicare con te.

Prima della nostra intervista su  Zoom, tremo come una foglia perché non so se riuscirò a formulare frasi e domande di senso compiuto con una regista, attrice, scrittrice, performer, e sceneggiatrice affermata come lei. Ma quando siamo entrambə online, inizio a calmarmi: è quella calma che avverto quando sia io che l’interlocutore siamo reciprocamente interessatə a quello che abbiamo da dire. Dall’altra parte c’è una persona che non sembra ripetere delle risposte di routine, ma qualcuno che vuole davvero tenere una conversazione insieme a me. Quando parli con Miranda July non c’è l’urgenza di esprimere un’opinione o emanare sentenze, ma sembra che lei sia lì a riflettere con te, a coinvolgerti nel suo flusso di pensieri, ed entrambə state imparando qualcosa.

 

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Trovare un punto di contatto con le persone sembra un punto centrale nel suo lavoro: dai suoi film (Me and You and Everyone We Know, The Future, e Kajilionaire) ai suoi libri (Tu più di chiunque altro del 2007 e Il primo uomo cattivo del 2016 e a breve il nuovo A quattro zampe in arrivo anche in Italia), ai suoi cortometraggi e performance art, July ha sempre indagato gli aspetti più bizzarri delle relazioni umane, per poi decostruirle, scomporle, osservarle da nuove angolazioni. Lo fa anche con F.A.M.I.L.Y. (Falling Apart Meanwhile I Love You), nuovo progetto che inaugura “Miranda July: New Society”, esposizione a cura di Mia Locks,  dal 7 marzo al 14 ottobre 2024 negli spazi di Osservatorio Fondazione Prada (Milano), insieme ad una documentazione delle prime performance di July nei locali punk, fino a quelle più famose, come Love Diamond (1998-2000), The Swan Tool (2000-2003), Things We Don’t Understand and Definitely Are Not Going to Talk About (2006-2007) e New Society (2015), fino ad altri progetti collaborativi come I’m the President, Baby (2018) e Services (2020) e Learning to Love You More (2000-2007). Tutto accompagnato da oggetti di scena, costumi, e documenti d’archivio.

F.A.M.I.LY. è un’installazione nata mentre scriveva il suo terzo romanzo e non ce la faceva più a starsene seduta: ad un certo punto si è alzata e messa a ballare davanti al radiatore del suo studio. Partendo da quei balletti fatti da sola in camera, ha lanciato una call su Instagram e formato un piccolo gruppo di ricerca composto da sette sconosciuti. L’incarico era inviarle dei video dove anche loro ballavano, che lei avrebbe editato e “trasportato” in camera sua. Il risultato è un’opera interattiva dove anche i visitatori potranno partecipare con i propri video danzanti, e “unirsi” alla festa.

La domanda che ci pone è: possiamo continuare ad amarci quando spogliamo le relazioni umane di ogni scala gerarchica o dinamica di potere?

Insieme a lei ho provato a parlare di questo e altro.

Ogni volta che leggo il titolo del progetto mi commuovo: se non è troppo invasivo, sapresti dirmi perché hai scelto questo acronimo  e cosa significa per te?

L’idea di quel titolo è arrivata durante un periodo di tremendo cambiamento, sia per me che per la mia famiglia. Mi sono chiesta: puoi lasciare crollare alcune strutture gerarchiche precostruite – che magari non sono nemmeno così rilevanti per te – e  far sì che l’amore rimanga? È stato un periodo quasi d’esperimento, e la mia vita ora è completamente diversa.  Ma all’epoca volevo creare un progetto collaborativo con altre persone, e  un nuovo senso d’ intimità con degli sconosciuti. Un’idea di fisicità e sessualità che non assomigliasse a nulla di quello che conoscevo. L’ho chiamato ‘family’ ma poi ho pensato di specificare che intendo ‘famiglia’ in senso più ampio.

Qualche anno fa un’intervista con Interview Magazine, parlando del tuo lavoro da regista, hai detto una frase che ho ancora impressa: “I want to make a world and I want to get to dream the same dream as someone”/”Voglio creare un mondo e voglio sognare lo stesso sogno di qualcun altrə”. Mi chiedo se può essere applicato anche a questo progetto, dove l’interazione con l’altro è centrale. Quanto è importante la connessione in F.A.M.I.L.Y?

È interessante, perché anche se hai modo di condividere lo stesso sogno con qualcun altrə, quel qualcunə non ti farà restare per sempre. Perché alcuni sogni rimangono di quel qualcunə, e quella connessione finisce per essere un bambino che non vuole uscire dal grembo. Ma stavolta sono anche molto interessata alle dinamiche di potere, e questa installazione, come altre nella mostra, si basano molto su questo: prima sei tu ad avere il controllo, poi lo restituisci a me, e sono io ad averlo e ogni gerarchia sparisce. Per mia esperienza penso vada a beneficio del lavoro, e di tuttə; lasciare andare un po’ il controllo sulle cose.

Perché secondo te facciamo ancora così fatica a parlare delle cose che non comprendiamo?

Non credo che abbiamo fatto così tanta strada. Se penso ai miei genitori, e ai loro genitori, appartengono ad un’epoca in cui non era nemmeno un obiettivo. Oggi, almeno qualcuno concorderà che dovremmo comunicare quello che proviamo. Ma è successo da poco. Da una parte è un po’ triste, ma dall’altra dovremmo sentirci anche orgogliosi della nostra generazione per essere arrivati a questa consapevolezza.

 

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Ti senti più vulnerabile attraverso le immagini o con le parole?

Bella domanda. Ti direi le immagini perché non sei lì a fornire spiegazioni. Ma è anche per questo che le amo: esistono come sono. Puoi intellettualizzarle, ma le scivola addosso. D’altra parte, le persone possono puntare il dito sulle tue parole e dirti che ti stai sbagliando, o nel caso peggiore dirti qualcosa di brutto e ferirti. Ma cos’è giusto e cos’è sbagliato diventa meno chiaro.

Quando si parla di soggettività marginalizzate il dibattito si polarizza: bene e male, giusto e sbagliato. Soprattutto quando parliamo di persone queer: come se fossimo tuttə sopra un piedistallo per insegnare qualcosa. Con l’arte invece riesco a comprendere meglio la mia identità perché sembra esserci più spazio per la contraddizione, ci sono più sfumature e ambivalenze. Anche a te sembra così?

È un bel modo di vederla. Penso che l’arte è sempre servita a questo. E pertanto, le persone sono sempre state queer. Ci sono sempre state sfumature, non soltanto per quanto riguarda genere, sessualità, o desiderio. È qualcosa di fortemente anti-capitalista, e se ci pensi puoi immaginare perché la società non lo vuole. Ma è sempre stato lì, e l’arte ne è la prova.

Sempre parlando di società: ci ‘terrorizzano’ all’idea di invecchiare. A me invece sembra che più cresco più trovo un senso di calma, perché capisco sempre più cose di me rispetto al caos dei miei vent’anni. Sono spesso più le persone a spaventarmi, non il tempo che passa. Com’è per te? A te spaventa o tranquillizza?

Capisco questa sensazione. Ho appena compiuto cinquant’anni, ed è davvero un bellissimo periodo della mia vita. Detto ciò, ho passato gli ultimi quattro anni a scrivere un libro intitolato A quattro zampe che parla proprio di invecchiare e tutte le angosce di questo cambiamento e trasformazione. Penso che sia  tutto più bizzarro di quanto le persone credono: sei meno definita, o come dici tu, sei definita in una maniera limitata e preoccupante. Fa paura, nella stessa maniera in cui abbiamo paura di cose che consideriamo ‘altro’ da noi, ma in qualche modo ne facciamo tuttə parte. È come se ad alcune persone sia concesso invecchiare e diventare più potenti, mentre chiunque altro diventa più debole – perché devi apparire “bella” agli occhi altrui. Nonostante questo, quando inizi davvero a viverlo, ti accorgi che tante di queste cose non erano affatto come te le hanno descritte. C’è un sacco di mistero, apertura, bellezza. C’è anche oscurità, come in qualunque altra età, ma non è l’oscurità che dicono loro. È un’oscurità interessante.

Hai imparato ad amarti di più? Se sì, come?

Sai, è molto strano. Pensi di amare te stessə, e nel frattempo le cose che non ami di te rimangono in un angolo cieco, senza nemmeno accorgertene. Sei così abituato a non amarle che semplicemente non le vedi. Più continui a vivere, più certe cose escono allo scoperto, ed è scioccante, perché ti chiedi: com’è possibile? Ormai dovrei essere un’esperta di vulnerabilità, onestà, e connessione, no? O meglio, non sono un’esperta, ma ho la sensazione di saperne qualcosa a riguardo. Ma è affascinante, perché ti accorgi di tutti quei meccanismi di difesa che ti hanno permesso di arrivare a questo punto. Ora che sono qui sana e salva, posso iniziare a lasciarli andare, vedermi meglio. E sì, amarmi di più.

Miranda July: New Society – Osservatorio Fondazione Prada (Milano)
dal 7 Marzo al 14 Ottobre 2024 – a cura di Mia Locks

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