Gaming, fluidità e liberazione: intervista a Valerie Notari autrice di “Gamer girl”

Storia di Giulia, una ragazza trans con la passione per i videogiochi.

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valerie notari gamer girl
valerie notari gamer girl
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Valerie Notari è una scrittrice, una cosplayer e una twitcher: abita con disinvoltura il mondo delle narrazioni, quello del gaming e quello del web. Ha una grande dimestichezza, insomma, con lo storytelling e lo story-building. Per lavoro e per passione, costruisce mondi alternativi: a volte paralleli al nostro, altre volte mimetici, mondi virtuali e mondi effettivi. Quando non li costruisce, vi alberga, ne fa esperienza. Gamer girl, il suo secondo romanzo, da poco in libreria per Mondadori, racconta la storia di Giulia, una ragazza trans, appassionata di videogiochi – League of Legends, su tutti – che, a un certo punto, è costretta a osservare il bivio: rimanere dov’è o aprirsi al mondo?

In occasione del Transgender Day of Remembrance, abbiamo intervistato Valerie Notari.

Valerie Notari - Scheda autore e Libri | Libri Mondadori
Valerie Notari

La scrittura di questo romanzo ha portato con sé una presa di coscienza personale. È la scrittura che ti ha condotto al coming out?

Sì, la scrittura e i cosplay. Volevo raccontare il mondo del gaming, che è un mondo rinomatamente maschilista. Da poco c’’era stato il gamer gate, lo scandalo relativo al maschilismo nel mondo del gaming. Nel frattempo, io avevo già fatto coming out come persona non binaria e avevo iniziato una terapia ormonale di microdosaggio. Venivo da un romanzo che raccontava una storia d’amore saffica (Cosplay Girl, ndr) e volevo che anche il secondo non fosse eteronormativo. Ho deciso così di parlare di asessualità e identità di genere, raccontando la storia di Giulia, una ragazza trans, e Tommy, l’amico asessuale. Per farlo, come sempre, mi sono dedicata a una lunga ricerca: non so scrivere di cose che non conosco. Leggendo e scrivendo di questa protagonista trans ho iniziato a capire alcune cose di me.

Poi sei partita.

Il processo di scrittura mi stava spaventando, avevo molti trigger disforici che mi allontanavano dal romanzo, che ha avuto una genesi lunga e complessa. Ho avuto poi una forte crisi – personale e professionale – che mi ha spinto, sì, a lasciare l’Italia e a soggiornare in un co-living francese per tre settimane. Negli stessi giorni ho deciso di iniziare la transizione.

Dopodiché com’è andata?

Dalla Francia non sono tornata a Roma, dove vivo, ma sono andata per un periodo a Milano, dove ho soggiornato su divani di amicə, facendo coming out come persona trans. Quando ho consegnato questo libro al mio agente, al mio editore e al mondo, ho consegnato anche me stessa. Una nuova me.

Al centro del tuo romanzo, il gaming.

Sì, è una parte molto importante della mia vita. Gioco spesso e condivido questo aspetto con chi mi segue su Twitch. Nei momenti più difficili della mia vita, il gioco è stato di grande aiuto. Giocavo anche otto, nove ore al giorno. Non è una semplice evasione, è anche un aiuto. Rifocalizza la mente, richiede uno sforzo: io se sono stanca, non gioco. Serve anche a ricentrarsi. Al centro della storia, c’è League of Legends: ci giocavo molto spesso in quel periodo e ci giocava anche la persona a cui è dedicato il romanzo, un mio amico che si è tolto la vita. Lui nella lettera di addio ha raccontato molto bene come League of Legends gli abbia regalato gli unici momenti felici della sua vita. Se affronto il tema della depressione nel romanzo, è per via della sua storia.

Il principale pregiudizio legato al mondo dei videogiochi è legato alla rappresentazione stereotipata (o assente) dei corpi femminili e dei corpi queer. Come siamo messi?

Sicuramente è vero, storicamente il videogioco nasce maschilista. La rappresentazione queer è stata inesistente fino a qualche anno fa: in qualche «picchiaduro» c’erano personaggi evidentemente gay, ma rappresentati in modo stereotipato. Vale la stessa cosa per le minoranze razzializate. Benché più rappresentate, anch’esse sono state a lungo stereotipate: i personaggi cinesi erano sempre visti come lottatori di sumo grassi, i personaggi indiani come santoni che picchiano a calci. Non erano rappresentazioni legittime. I personaggi femminili, invece, erano tutti ipersessualizzati, come Lara Croft, o visti come oggetti da salvare, comprese Zelda e Peach di Super Mario. Ora le cose stanno cambiando, ci sono diverse major che stanno facendo un bel lavoro e stanno creando cast molto inclusivi. In Overwatch, per esempio, la protagonista è lesbica. Cosa che ha creato diversi problemi, molti utenti hanno smesso di giocarci. La rappresentazione queer, invece, ha cominciato a esistere con Dragon Age Mass Effect, giochi di ruolo con un’enorme fanbase transfemminista. The Last of Us in questo poi è stato particolarmente rivoluzionario. Il personaggio principale è una donna lesbica, lontanissima dagli standard estetici canonici, molto verosimile. E, in più, mette in scena un personaggio molto giovane, un bambino, che è un ragazzo trans. Nelle più recenti espansioni di Horizon, invece, Aloy è raffigurata con estrema attenzione ai dettagli ed è stata di recente programmata con un po’ di peluria sul viso: apriti cielo, è partita l’accusa di inclusività forzata. Molti altri videogiochi, soprattutto quelli più narrativi, danno finalmente la possibilità di scegliere avatar transessuali. È una cosa importantissima, perché contribuisce a normalizzare queste questioni. In Baldur’s Gate, che è anche molto esplicito sessualmente, tutti i personaggi sono pansessuali. Si rappresenta una sessualità non-conforming, queer.

Horizon Forbidden West Recensione: Aloy non è più sola | Eurogamer.it
Aloy di Horizon

Qual è lo stereotipo che più sopravvive a proposito dei videogiochi?

Che i videogiochi rendono violenti. Quasi tutti i videogiochi hanno al centro conflitti e combattimenti, spesso anche molto espliciti. Quando succede nelle serie tv, vedi Game of Thrones, nessuno dice niente, quando succede nei videogiochi invece si inneggia aə bambinə che rischiano di diventare violentə. Nonostante, tra l’altro, ci siano avvisi che vietano l’uso aə minoriə o impostazioni che permettono di eliminare le scene di nudo e il sangue, per esempio. Poi che i videogiochi alienano: può succedere, la dipendenza da gioco esiste, anche se è principalmente legata all’attività del poker online. Molto spesso chi si astrae dalla realtà sono gli hikikomori, che è un fenomeno ben più allargato rispetto alla comunità deə gamer. A volte sono un grande aiuto i videogiochi, possono servire a evadere dalla realtà e a salvarti dalla realtà. Anche il binge watching astrae e distrae, ma nessuno lo stigmatizza.

Cosplay e videogiochi: entrambi permettono di assumere identità ruoli e panni diversi dal proprio. 

Il gaming è fonte di cosplay. La maggior parte dei cosplay arriva da là. Videogiochi e cosplay sono particolarmente adatti e affini a chi mette in discussione la proprio identità, perché permettono di sperimentare, in un modo che sia safe. Entrambi proteggono: da un lato attraverso lo schermo, dall’altro attraverso l’abito. Per quanto riguarda me, per esempio, io da gamer non ho mai – anche prima della transizione – scelto avatar maschili. I cosplay femminili, invece, sono stati un grande territorio esplorativo per la mia sessualità. I cosplay femminili mi davano una scusa accettabile per avere un’espressione di genere femminile. Nell’estate del mio coming out, alla fiera di Rimini, ho indossato i panni di un personaggio maschile e sono stata malissimo tutto il giorno. Solo il giorno successivo, nei panni di una donna, ho iniziato a stare meglio. Per schermarmi, tra l’altro, ho chiesto di usare i pronomi dei personaggi, perché nella vita ero ancora questioning a proposito dei miei pronomi.

Cos’è la fluidità per te?

È un superamento dei panni che la società ci impone, un atto di liberazione. Io sono una ragazza trans non operata e non ho alcuna intenzione di operarmi, abito un corpo completamente femminile ma mantengo i genitali maschili, e mi va bene così. È l’emblema della fluidità.

Gamer girl - Valerie Notari | Libri Mondadori

A proposito di fluidità, da scrittrice come ti poni nei confronti del problema linguistico?

La nostra lingua nasce in un terreno sociale assolutamente binario e maschilista, ma adesso si fa strada questa esigenza di renderla invece più fluida. La schwa è a oggi l’unica soluzione possibile, non può essere una soluzione a lungo termine, forse, anche considerando alcune criticità, come gli articoli, la declinazione di alcune desinenze, ma oggi è tutto ciò a cui possiamo ricorrere. C’è chi propone di reintrodurre nella lingua italiana corrente l’uso del neutro latino. Potrebbe essere una soluzione, ma ci vorrà moltissimo tempo. La schwa è lo strumento migliore, in questo senso. Io la uso quasi sempre oggi, sia nello scritto sia nel parlato. Molte persone non la usano per pigrizia, secondo me, o per presa di posizione. In realtà, è molto più facile e naturale di quanto non si possa pensare: nel parlato basta troncare le vocali alla fine della parola. C’è gente che sta davvero molto male per via del linguaggio genderizzato, perché dobbiamo farla soffrire?

Anche Licia Troisi ha usato la schwa nel suo ultimo fantasy.

Sì, per raccontare una persona non binary. Con Licia Troisi siamo nel territorio del fantasy e fantascienza, che spesso aiutano in questo senso. Sono il motore di grandi cambiamenti culturali. Il primo bacio andato sulla televisione americana tra un uomo nero e una donna bianca è in Star Trek. Forse perché fantasy e fantascienza sono più digeribili per il pubblico, non sono considerati reali, però aiutano comunque a normalizzare.

Gamer girl è soprattutto, secondo me, un romanzo sul coraggio. Chi sono i suoi lettori ideali? Chi dovrebbe leggerlo?

Chiunque abbia perso la speranza, perché è un libro che racconta il letargo senza luce in cui cadono molte persone depresse.

Qual è la tua più grande paura?

Vivere in gabbia, vedere le mie libertà personali costrette. Oggi sono libera, mi sto liberando dalle ultime catene. Non voglio perdere questa libertà.

 

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