Fresca di Leone d’Oro alla carriera della 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Tilda Swinton, attesa in sala con The Human Voice, corto di Pedro Almodovar, e The French Dispatch di Wes Anderson, ha rilasciato un’intervista a Vogue in cui ha ribadito tutta la propria vicinanza alla comunità LGBT. Anzi, si è detta orgogliosamente partecipe.
Per me l’essere queer in realtà ha a che fare con la sensibilità. Mi sono sempre sentita queer, stavo solo cercando il mio circo queer, e l’ho trovato. E dopo averlo trovato, è diventato il mio mondo. Ora ho una famiglia con Wes Anderson, ho una famiglia con Bong Joon-ho, ho una famiglia con Jim Jarmusch, ho una famiglia con Luca Guadagnino, con Lynne Ramsay, con Joanna Hogg.
Musa di Derek Jarman, con cui esordì al cinema nel 1985 con Caravaggio, Tilda Swinton ha girato al fianco del compianto regista altri 7 titoli, tra i quali Ciò che resta dell’Inghilterra (1987), The Garden (1990), War Requiem (1989) e Edoardo II, con cui vinse la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile.
Eccellenza assoluta del cinema d’autore contemporaneo, Tilda è stata Orlando per Sally Potter 30 anni or sono, diventando immediatamente simbolo di doppio e genderless hollywoodiano con decenni d’anticipo rispetto ai giorni che stiamo vivendo. “Che noia categorizzare le persone tra eterosessuali e omosessuali, uomini e donne”, confessò al Lido di Venezia durante l’ultima Mostra, sottolineando come “l’idea che il genere vada stabilito in un unico modo, mi fa venire la claustrofobia“. Icona queer a tutti gli effetti, vincitrice di un Oscar come miglior attrice non protagonista per Michael Clayton, un BAFTA e un’EFA, pur non avendo “mai avuto ambizioni come artista. Può sembrare folle e trasgressivo, ma è un dato di fatto”.
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