Dovevo avere una decina d’anni quando leggendo Tutto Musica, la mia Bibbia di fine anni ’90, appresi quella che mi si stampò in testa come una regola della discografia: il terzo album, nella carriera di un artista, è quello della maturità. In certi casi assume una valenza ancora maggiore rispetto a un progetto di debutto, perché deve segnare uno spartiacque tra il prima e il dopo. Tutti si aspettano un cambio di passo (o un passo falso). Paola e Chiara non sfuggono a questo diktat, e nel 2000 si ripresentano al pubblico con l’opera numero 3, Television, di cui il 23 febbraio di quest’anno verrà pubblicata per la prima volta la versione spagnola in vinile.
All’alba del nuovo millennio le sorelle Iezzi hanno già conosciuto il successo ma anche le prime cadute. Grazie alla vittoria sanremese con Amici come prima e all’album Ci chiamano bambine aprono il concerto milanese di Michael Jackson, ma Giornata storica, secondo disco che vede la luce nel 1998, non ottiene il riscontro sperato. Per loro si spalancano le porte della tv con la conduzione di programmi musicali come So 90’s su MTV: c’è chi è pronto a scommettere che si ricicleranno in qualità di personaggi del piccolo schermo destinati a riempire le pagine dei giornali di gossip e a non comparire più nelle classifiche dei dischi. Ipotizziamo che loro per prime si sentano in un momento di impasse senza rendersi conto che in realtà stanno dando nuova linfa al proprio percorso. È un’altra legge non scritta: gli album migliori e più ispirati vengono partoriti con dolore. Senza momenti di difficoltà non si cresce, non ci si evolve e non si scoprono nuovi lati di sé.
Proprio di rinascita parla un brano a cui lavorano in quel periodo e che propongono per il Festival di Sanremo 2000. La canzone viene bocciata e la strada si preannuncia in salita per il terzo disco di inediti, quello con cui Paola e Chiara sono pronte a fare all in. Il fischio d’inizio per la partita più importante del duo è fissato per il 7 aprile, quando viene pubblicato Vamos a bailar (Esta vida nueva), questo il titolo del pezzo scartato al Festival. Un nuovo inizio per tanti motivi: a 26 e 27 anni le sorelle abbandonano il canto all’unisono, lasciano le influenze irlandesi e rock per abbracciare il pop latino e internazionale mostrandosi per quello che sono, due giovani donne che non hanno paura di affiancare l’immagine al contenuto. Anche se al posto delle sneakers e dei pantaloni a zampa ci sono scarpe col tacco e abiti griffatissimi, Paola e Chiara restano infatti due cantautrici che firmano testi e musiche di tutti i loro brani. In Italia, però, se sei donna e fai musica pop nessuno ci crede, e per molto tempo si trovano a fare i conti con i pregiudizi nei confronti del loro lavoro.
Poco male, perché Vamos, settimana dopo settimana, si fa largo in radio fino a esplodere con la stagione estiva diventando il tormentone incontrastato dell’anno. Il successo è tale da richiamare l’attenzione dei mercati esteri: il pezzo viene tradotto in spagnolo e in inglese, diventa una hit in Europa e lo suonano persino in America.
A beneficiarne è pure l’album Television, anch’esso adattato per i Paesi latini e anglofoni. Benché sulla copertina campeggi un televisore e nei ringraziamenti compaiano i nomi di molti volti noti del piccolo schermo, le due cantanti spiegano che il tubo catodico in sé non c’entra nulla (forse una provocazione nei confronti di chi le aveva prematuramente relegate a prezzemoline mediatiche?): il titolo va inteso nell’accezione di “visione da lontano”. Quale che sia il reale significato, l’unica cosa certa è che quel disco fa irruzione nella mia vita di 13enne senza chiedere permesso. In 60 minuti di musica – sì, c’è stato un tempo in cui gli album duravano più di una sveltina senza doversi piegare alle logiche di TikTok – ci sono tutti gli ingredienti per farmi capitolare: la capacità di esorcizzare le difficoltà dimenandosi sulla pista da ballo, parole e melodie perfettamente sintonizzate sulle mie frequenze più malinconiche (Anni Luce mi passa ancora oggi addosso con tutte e quattro le ruote), e quel pizzico di sfacciataggine che, dovendo rimanere sopita nella vita di tutti i giorni, trova una via di fuga in episodi più ambigui e coraggiosi come Arsenico.
L’ipotesi è piuttosto remota vista la mia riluttanza nei confronti della natura selvaggia, ma se dovessi ritrovarmi su un’isola deserta e potessi portare con me un solo disco è altamente probabile che quell’album sarebbe Television. P.s.: compagnie low cost non leggetemi altrimenti dalla prossima estate ci farete partire unicamente con un cd da riporre tra il sacchetto per il vomito e le istruzioni da seguire in caso di sciagura e via, enjoy your flight.
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