Torture e delizie dell’”altro” Pitt

L’angelico Michael Pitt è un sadico torturatore nel remake-fotocopia ‘Funny Games U.S.’ del grande regista austriaco Michael Haneke. Lo rivedremo nei prossimi film di Oliver Stone e Abel Ferrara.

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Quando si dice "Pitt" si pensa subito al superdivo Brad, neopapà dei gemellini nizzardi Vivienne Marcheline e Leon Knox. Invece, per la serie "piccole star crescono", un altro Pitt senza legami di parentela con Brad si sta affacciando alla mutevole ribalta del tanto ambito firmamento hollywoodiano: trattasi di Michael Pitt.

 
Qualcuno lo ricorderà adolescente inquieto nel nostalgico The Dreamers di Bertolucci, tra proclami rivoluzionari sessantottini e desideri tentatori bisex che ribollivano sottopelle, mentre i veri fan lo identificano col Blake/Kurt Cobain dello sperimentale Last Days di Gus Van Sant. Non dimentichiamo che è stato anche gay – sullo schermo – nel musicale Hedwig, la diva con qualcosa in più di John Cameron Mitchell dov’era il passionale amante del colorato protagonista rock-gender.
 
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Eccentrico e ribelle si rivela anche nella vita, l’arietino ventisettenne Michael Pitt: a soli sedici anni è scappato dalla casa di West Orange, nel New Jersey, per tentare la fortuna nella Grande Mela, riuscendo ad approdare al cinema dopo una faticosa gavetta teatrale off-Broadway e quindici episodi nel serial televisivo di successo Dawson’s Creek.

 
È tornato sui nostri schermi nel ruolo del killer torturatore Peter, protagonista del curioso remake-fotocopia Funny Games U.S., rifacimento inquadratura per inquadratura del disturbante e sadico omonimo film del ’97 firmato dal glaciale regista austriaco Michael Haneke de La pianista. Dieci anni dopo, il grande Haneke ha deciso di rifare negli States il violento thriller che gli ha dato la notorietà internazionale ma con un cast stellare: nientemeno che Naomi Watts e Tim Roth nei lacerati panni dei genitori protagonisti, che però, purtroppo, lo rendono di minore impatto creando più distanza nei confronti dello spettatore proprio per il loro status di riconoscibili celebrity. Volete mettere con l’anonima – e bravissima – Susanne Lothar dell’originale e di suo marito (anche nella vita), il compianto Ulrich Mühe de Le vite degli altri morto di cancro un anno fa?
 
Il resto è identico, e l’ambientazione molto simile anche se trasposta su un laghetto americano anziché austriaco. Ritornano i due ragazzotti Paul e Peter, neo-drughi di bianco vestiti che, con la scusa di aver bisogno di quattro uova, si intrufolano nella casetta lacustre di un’ordinaria famigliola felice – mamma, papà e figlioletto – per massacrarli lentamente, prima psicologicamente e poi di fatto.
 
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La riflessione sulla rappresentazione della violenza, rigorosamente fuori campo al contrario dei suoi effetti, resta identica come la manipolazione dello spettatore – occhio alla scena chiave del "rewind" – mentre uno dei "giochi divertenti" rimane proprio scoprire le differenze minime tra l’originale e il suo clone statunitense: il cordless diventa un cellulare e la mamma resta in mutande e reggiseno anziché in sottoveste.

 
Haneke ha dichiarato di averlo realizzato soprattutto per aprirsi al mercato americano – il film negli U.S.A. è stato comunque un sonoro flop – e girare nella «lingua propria della violenza». L’idea non è peraltro nuova: anche Hitchcock realizzò un remake del suo L’uomo che sapeva troppo e Gus Van Sant rifece nel ’98 "shot by shot" proprio un capolavoro hitchcockiano, l’immortale Psycho.
 
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Il nostro Michael Pitt, rispetto al brunetto Arno Frisch dell’originale, ci aggiunge di suo il visino immacolato da angelo caduto con labbroni rosso sangue che lo rendono una maschera ancora più allarmante (Peter è invece interpretato dal delicato Brady Corbet, già Brian nel queer Mysterious Skin di Araki). Resta il dubbio, esattamente come dieci anni fa, che i due siano gay visto che a un certo punto Paul rivela l’omosessualità di Peter per poi smentirla subito dopo.

 
Nel frattempo, la carriera di Michael Pitt ha preso rapidamente il volo e lo vedremo prossimamente nei nuovi progetti di Oliver Stone, il bellico Pinkville sul massacro vietnamita di My Lai, e del "maledetto" Abel Ferrara che l’ha voluto per il suo prequel di King of New York su un boss del mercato della droga negli anni ’70, Pericle il Nero, tratto dal romanzo di Giuseppe Ferrandino (il protagonista sarà il nostro bellone Riccardo Scamarcio).
 
Insomma, il cognome Pitt porta davvero fortuna…

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