Le persone trans non hanno il privilegio della tridimensionalità: la narrazione generale ti vuole sommessa, traumatizzata e vittima ma mai un essere umano a tutto tondo, con una vita banale fatta di spigoli, contraddizioni e idiosincrasie che accomunano chiunque e non girino per forza intorno alla tua transizione.
Se negli ultimi due anni abbiamo visto un’impennata nei circuiti cinematografici –su tutte Tracy Lysette, protagonista di MONICA, ha incontrato gli applausi della critica internazionale passando dal Lido di Venezia agli Indipendent Spirit Awards con uno sguardo verso gli Oscar 2024 – la regista italocanadese Luis De Filippis ha spiegato che è ancora difficile finanziare progetti come questi: “I produttori fanno domande tipo: come facciamo a capire che la protagonista sia trans?” dice in un’intervista con Collider “Perché non rendiamo la sua transessualità più centrale nella storia, perché non se ne parla mai nel film?”
Ma nel suo film di debutto, Something You Said Last Night – presentato al Toronto Film Festival 2022, co-prodotto da Julia Fox, e ancora senza distribuzione in Italia – la parola trans non viene mai nominata, nemmeno una volta.
La protagonista del film Renata (Carmen Madonia) è solo una giovane donna che si ritrova riluttante a passare le vacanze estive insieme alla sua famiglia italo-americana. Il problema non è che sia trans*, ma che è stata appena licenziata e non può più pagarsi l’affitto da sola. Come glielo dice a sua madre? Meglio restare attaccata allo smartphone, fumare la sua sigaretta elettronica, e infastidire sua sorella Sienna mentre i genitori cantano Sarà perché ti amo in macchina.
Dell’insofferabile mondo dei millennial, Luis De Filippis coglie una frustrazione specifica: quell’urgenza di essere indipendenti senza il costante bisogno di chiedere aiuto a mamma, contraddetto dalla rassicurazione che spesso solo alcune famiglie possono darti. È una croce e delizia che ti soffoca e al contempo ti protegge dalle responsabilità della vita adulta.
In questa irritante terra di mezzo, la telecamera segue Renata in ogni scena, lasciandole dire tutto con dieci battute in croce: come quando passi troppe ore con i tuoi genitori e ti dissoci dalla stessa identica conversazione che hai sentito un milione di volte. Tua madre si lamenta da sola, tuo padre sta nel suo mondo, i parenti al telefono che vogliono salutarti, tua sorella si incazza perché continua a perdere la partita a scala quaranta, e tu non sai più se sei un’adulta o una bambina, una donna o una figlia che anche oggi si è dimenticata di telefonare a nonna.
Essere trans*non è mai il ‘problema da risolvere’ tantomeno l’argomento principale, ma solo uno tra i mille motivi per cui tua madre ti sta col fiato sul collo, insieme al fatto che fumi troppo e non l’ascolti mai quando parla. Non è un’utopia, ma solo una parte della realtà: che sia il disagio di stare in spiaggia sotto sguardi indiscreti o il timore di camminare davanti un gruppo di ragazzi a notte fonda, la transfobia è dietro l’angolo, ma se ne resta al buio. Non serve vederla per ricordarci che esiste.
Al contrario, la regista si concentra sull’intimità del quotidiano e l’assurdità di quei legami inspiegabili dove puoi permetterti di fare la stronza con tua sorella e scoppiare a ridere insieme un minuto dopo. Per questo è così difficile abbandonare la terra di mezzo: chi altro è disposto a restarti vicino incondizionatamente da quanto sei così stronza? Chi riderà insieme a te anche quando dai quell’affetto per scontato?
Non c’è bisogno di catarsi, scene madri, o grandi tragedie: Something You Said Last Night è solo una giornata nella vita di una rumorosa famiglia, un’esilarante e umanissima ancora di supporto, pronta a stare dalla tua parte anche quando non lo vuoi. Una lettera d’amore da far guardare ai nostri affetti più cari, raccontata attraverso lo sguardo di una donna trans stufa, annoiata, e irritata proprio come te.
Nella speranza che ne arrivino sempre di più.
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