Afterhours: Noi gli alieni del festival, voi alieni in Italia

Intervista a Manuel Agnelli, leader del gruppo che si è presentato sul palco dell'Ariston con i triangoli rosa sul petto: "Lo abbiamo fatto in segno di solidarietà con il movimento gay".

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Ciao Manuel, come mai dopo quasi vent’anni di percorso musicale underground e avete deciso di partecipare al Festival di Sanremo, con il rischio che accadesse quanto accaduto, ovvero l’esclusione dalla finale?

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Da tanti anni stiamo provando a uscire un po’ dal ghetto dorato della musica alternativa. Uno degli errori più grandi che è stato fatto dal nostro ambiente musicale è stato quello di ghettizzarsi e di autoriferirsi. L’operazione Sanremo rientra in questo tipo di concetto: portare la nostra musica a tutti nella maniera più libera possibile. Il Festival in sé non sarebbe stato interessante se non ci fosse stato Bonolis, non tanto come presentatore, quanto come serio professionista che ci ha rispettati anche quando non ci capiva, dandoci la sicurezza che avremmo potuto essere noi stessi. Abbiamo ritenuto che il Festival avrebbe potuto essere un megafono per la nostra musica, per il nostro punto di vista, e per attirare l’attenzione su tutto il nostro ambiente e dargli maggiore credibilità nei confronti dei grandi media. Sapevamo di non contare sulla gara, ma questo non ci interessava nemmeno eticamente, così come di essere molto ostici per il pubblico sanremese. Essere stati eliminati subito è stata una grossa fortuna, ha creato un po’ di polemiche e ci ha attirato addosso il triplo delle attenzioni visto che i giornali avevano dato il nostro pezzo come uno dei migliori. Il premio della critica è stato poi la ciliegina sulla torta.

Un tuo pensiero su tutto il polverone Povia prima, Benigni poi?
In Italia è facile fare polemica perché la gente si è disabituata ad avere capacità di analisi, ed è molto facile dire cose in maniera superficiale. Non è un mistero per nessuno che Povia ha scritto una canzone così per attirare l’ attenzione su di sé, e ci è pienamente riuscito. Sono del parere che, come dice il buon vecchio Giulio Andreotti, "Una smentita è una notizia data due volte". Se tutto il movimento, e la gente in generale, avesse ignorato Povia, lui avrebbe fallito nel suo progetto. È anche vero però che il modo con cui è affrontato il tema della canzone è medievale, così come la polemica che vi si è sviluppata intorno, quindi mi rendo conto che è difficile stare zitti. Siamo stati invitati a Porta a porta, ma ci siamo rifiutati di andare, non tanto per snobismo, quanto perché sapevamo che il dibattito sarebbe stato becero. Alla fine del Festival avevamo già preso una posizione molto netta uscendo sul palco con i triangoli rosa.

Come è nata quest’idea?

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Credo che la Gialappa’s avesse promosso la cosa, li aveva dati al nostro bassista. Era un modo per prendere una posizione e non abbiamo avuto dubbi. Lo abbiamo confermato anche in conferenza stampa dicendo che a Sanremo non ci sentivamo in modo molto diverso dagli omosessuali in questo paese, degli alieni, accettati ma guardati a distanza. È stato un piccolo gesto di complicità che non vuole avere velleità filosofiche o sociali. Meglio evitare la polemica, prendendo posizioni nette e non alimentandola. Non so se c’era bisogno di parlare dell’omosessualità in quei termini e in quei giorni. Credo che ormai certi traguardi siano stati raggiunti ed è importante partire da questo, senza scadere in basso. Talvolta certe provocazioni non vanno assecondate. Povia alla fine l’ha avuta vinta, è arrivato secondo, ha avuto un’esposizione pazzesca e credo che dentro di sé non gliene fregasse niente delle polemiche intorno alla canzone.

Infatti adesso è dovunque, in tutti i salotti televisivi pomeridiani seguiti dalle casalinghe, magari una che ha un figlio gay e non lo accetta non so che conclusioni ne può trarre…
Questo è gravissimo. Lui dice di aver raccontato una storia: io posso cantare pure la storia di un criminale nazista, però ci penso venti volte e se poi lo faccio prendo una posizione, non posso rimanere neutro. E comunque lui una posizione l’ha presa, non è vero che è rimasto neutro. Resto dell’idea che avesse il diritto di farlo, di dire e cantare ciò che voleva, anche al Festival, ma sono completamente contrario al suo punto di vista.

Avete partecipato alla manifestazione organizzata dal movimento omosessuale a Sanremo?

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C’era venuta l’idea, ma quel giorno non eravamo a Sanremo. Avevamo pensato di baciarci sul palco al ritiro del Premio della critica, ma poi abbiamo realizzato che sarebbe stato assecondare la polemica becera. Noi non siamo omosessuali, farlo poteva essere un gesto che risultava volgare perché non vero e troppo spettacolare, e poteva essere letto alla maniera di Povia, come un voler attirare l’attenzione su di noi. Il triangolo rosa era più elegante, sincero e forte come messaggio.

La vostra canzone è contenuta in una compilation dal titolo "Il paese è reale – 19 artisti per un paese migliore?". Immagino un paese migliore anche per gli omosessuali?
(ride, ndr) Il titolo finisce appunto con il punto di domanda, un po’ per sdrammatizzare l’operazione. In Italia sembra che a meno che non si faccia la rivoluzione non valga la pena fare niente. In realtà sono tante le cose da fare anche se non vediamo il risultato o lo vedremo tra un sacco di anni. È importante fare piccoli passi, la nostra partecipazione a Sanremo non aveva la velleità di cambiare il festival così come questa compilation non la ha di cambiare la musica italiana, né di rappresentarla in toto. Volevamo far vedere che è possibile fare le cose con unità d’intenti per creare una tendenza.

Il festival in qualche modo ha visto anche la partecipazione di Mina. Anni fa una vostra canzone "Dentro Marilyn" è stata da lei reinterpretata con il titolo "Tre Volte Dentro Me". Che ne dite di questa collaborazione?
Mina è una nostra fan sfegatata, mi ha telefonato prima della seconda serata del Festival dicendo che non dovevamo avere paura di nessuno perché il nostro pezzo era eccezionale, il più bello di tutti, e lo ha anche scritto su Vanity fair. Siamo rimasti in contatto, è molto che sto cercando di collaborare di nuovo, ma quando penso a lei e mi metto a scrivere ho la sindrome del foglio bianco. Ma credo che nel prossimo futuro riusciremo a fare qualcosa insieme perché lei ci ha dato grandi dimostrazioni di affetto. Oltre a essere la più grande voce italiana è un mito come persona, ha una grandissima cultura, un enorme spessore e tanta sensibilità, e allo stesso tempo una naturalezza, semplicità e calore umano incredibili. Si è presa la briga di chiamare personalmente uno come me, in un momento difficile, è davvero figa!

Allora in bocca al lupo Manuel e grazie a nome di tutti per quello che avete fatto sul palco dell’Ariston.
È stato un onore per noi.

di Francesco Belais

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