Mahmood ha condiviso con noi tuttə il suo “Cocktail d’amore” questa notte, io sono ubriaca, e lo sarò per molto.
Come anticipato da me qui su Gay.it, c’è un riferimento esplicito a Berlino, e la canzone è un manifesto di struggente dolore davanti al desiderio che si frantuma nel burrone della realtà, precipizio dell’amore idealizzato che non può essere, adolescenza eterna con la quale l’uomo Mahmood comincia a fare i conti, un amore da cercare ovunque, da bere goccia a goccia di qua e di là. Un amore che non c’è più, consunto dalla vita. Storie che noi tuttə conosciamo, ma a saperle raccontare con potenza sono soltanto i grandi autori.
Così il cock-tail d’amore di Alessandro è una compensazione di quel vuoto scavato dall’assenza di aspirazioni ideali, un amore che non è (più) possibile, un bagno di realtà, e Mahmood ci prende a schiaffi mentre porge le armonie del proprio intimo dolore, in un racconto universale: come soltanto i bravi scrittori riescono a fare (con tanti saluti ai bei tempi andati, ‘ché nessuno può pensare di avere l’esclusiva sulle parole).
Alessandro ci ha regalato una ballad commovente. Canzone di classica struttura, voce in primo piano, “Cocktail d’amore” è lo struggente e onesto racconto dell’anima, il Mahmood autore mette in piazza la propria nuda inadeguatezza davanti alla storia di un amore finito, e davanti alla storia dell’amore che finisce, sempre. Sincero come forse finora mai era stato, con Dardust minimale, che alla produzione (magistrale) se ne sta un passo indietro, e pennella un frame strumentale intorno alla storia di questo dolore limpido, annunciato dalle vibrazioni solitarie di un incipit di chitarra dalla tristezza blues (e che torna ripetutamente nel brano).
Mahmood vola sulle ali del cavallo alato, cade e precipita fino a toccare il fondo, quel fondo che lo fa sentire vivo, le bugie intrise di risate gelate, e quel dolore che è un assedio, la malinconia come stato d’animo perenne nei vocalizzi mahmoodiani (sentire gli amici da sopra un altro van), il desiderio idealizzante di un amore che non può essere, goccia a goccia, e che fa a botte con una convivenza che anch’essa no, non può essere (non sono il tipo che convive), e il desiderio irrealizzato – forse irrealizzabile – dell’amore giorno dopo giorno, i gesti del quotidiano (se hai freddo prendi la mia giacca) e le fantasie mitologiche (le ali di Pegaso), tessuti insieme come sempre nella trama poetica di M., e quell’onestà limpida (se mi amerai, fallo così), che gronda autocritica (sono il più tosto a darsi ferite per stare bene), e a chiedersi cosa ci sia mai di sbagliato a fare l’amore con un film porno (farlo davanti al PC), tra luci e molecole psicotrope dei disco-club che flashano sulle scopate (tra i laser light), e la tenerezza di immaginare di morire insieme (in un videogame, come nella vita), e tu che ti arrabbi quando mi drogo, e quindi tutto che sprofonda nel desiderio di questo mio “volevo”, tempo verbale imperfetto che grida fallimento, tutto ciò che non ho, e che so che non avrò, con quelle ferite che mi rendono str0nz0 (m0therfuck3r), e le incomprensioni (volevo che tu mi capissi quando cadevo giù) e un barlume tremulo di speranza di pace (stammi bene), forse soltanto la goccia di un cocktail d’amore.
Cocktail d’amore – testo – autore Alessandro Mahmoud
Perché per stare bene
Ho bisogno di toccare il fondo
Sono un bugiardo, sì
Ti faccio vedere che ho tutto sotto controllo
Ma più rido, più mi si fredda il cuore
Dici di stare lontano dalle droghe
Per darti il mio goccio migliore
Ho bisogno di un cocktail d’amore
Ho bisogno di un cocktail d’amore
Volevo
Le ali di Pegaso
Che tu mi capissi quando cadevo giù
Io credevo
Fossi più tenero
Farlo davanti al PC
Se mi amerai fallo così
Stammi bene, mi mancherà
Morire insieme
Tra i laser light
Io ti volevo, volevo, volеvo
Perché per stare bеne
Ho bisogno di sfogarmi solo
Non sono il tipo che convive
Né che ti chiede la mano in cortile
Se c’è freddo ti do la mia giacca
Se ferisci sarò m0therfuck3r
Volevo
Le ali di Pegaso
Che tu mi capissi quando cadevo giù
Io credevo
Fossi più tenero
Farlo davanti al PC
Se mi amerai fallo così
Stammi bene, mi mancherà
Morire insieme
Tra i laser light
Io ti volevo, volevo, volevo
Non ti conosco ma
Portami sulla torre dorata
Pure in un posto tra
Berlino est e l’acqua salata
Qua sono il più tosto
A darsi ferite per stare bene
Sai, quanto mi costerà
Sentire gli amici da sopra un altro van
Volevo
Le ali di Pegaso
Che tu mi capissi quando cadevo giù
Io credevo
Fossi più tenero
Farlo davanti al PC
Se mi amerai fallo così
Stammi bene, mi mancherà
Morire insieme
Tra i laser light
Io ti volevo – Volevo! – volevo – Volevo! – volevo – Volevo!
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