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Nudo ascoltando Bella Ciao: la performance di Slaven Tolj a Bologna – IL VIDEO

Il provocatorio artista ha esibito 11 opere crude e realistiche, tra personale e attualità.

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Video di Nico Covre

Slaven Tolj si fa spazio nel bel mezzo di una folla, inizia piano piano a togliersi ogni indumento, fino a rimanere nudo e seduto sotto lo sguardo degli spettatori. A rompere il silenzio c’è Bella Ciao, lo storico inno partigiano che riecheggia per la sala di Palazzo d’Accursio.

È “Bologna, February 2023“, una delle 11 opere presentate dal 26 Gennaio al 5 Marzo in “Craquelure. Pavo and me“, prima mostra in Italia dell’artista e militante croato, curata da Daniele Capra presso le Collezioni Comunali d’Arte.

 

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Una rassegna che ripercorre la carriera dell’artista, dalla fine degli anni Ottanta ai lavori recenti, muovendosi tra scultura, fotografia, e performance, e offrendo uno spaccato delle proprie “dinamiche interiori, interpersonali e politiche”.

Colpito da un ictus che ne ha compromesso le sue capacità linguistiche, Tolj racconta una realtà brutalmente onesta e cruda, dove body art e arte concettuale assumono un ruolo centrale e ogni opera trae spunto dal vissuto privato e l’attualità.

Dalla dissoluzione della Jugoslavia nei primi anni Novanta alla morte dell’amico e fotografo Pavo Urban (di cui espone due foto risalenti a ‘Rosarium’, altra performance del 1988) morto il 6 dicembre 1991 durante la guerra a Dubrovnik, l’arte di Tolj interseca personale e universale, offrendo sempre uno sguardo in prima persona sul mondo.

Come in A Tattooo of the logo of Rijeka’s Museum of Modern and Contemporary Art Rijeka dove si fa tatuare I logo de museo MMSU sulle spalle (a rappresentare i musei come marchio e metro di valore del lavoro artistico) o Community Spirit in Action del 1998 dove performa al fianco di una spogliarellista di Zagabria in un peepshow, fino alla fotografia di Untitled dove immortala la rimozione dei lampadari dalla Chiesa di Sant’Ignazio a Dubrovnik – durante le guerre in Jugoslavia nel 1997 – e Dubrovnik-Valencia-Dubrovnik, performance del 2003, dove cuce sulla sua pelle i bottoni che simboleggiano ogni amico perso durante la guerra, simboleggiando il dolore di un lutto che non vuole andare via.

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