Emerald Fennell vuole provocarci (senza farci vergognare)

La regista di Saltburn indaga il nostro lato oscuro e ci permette di tenerlo a bada.

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Qualche anno fa Una Donna Promettente ha aperto una conversazione che non tuttə erano prontə ad affrontare: in quel film Carey Mulligan interpretava una giustiziera della notte, pronta a farla pagare a tutti quegli uomini che pensano di portarsi a casa una ragazza ubriaca e farci quello che vogliono. La premessa del film diventa qualcosa di più tetro, fino al finale: chi l’ha visto sa di cosa parlo, quel finale non fa sconti a nessuno, e si fatica a digerirlo. Come direbbero gli inglesi: “not everyone’s cup of tea”.

Ma il cinema di Emerald Fennell non vuole conquistare tuttə: vuole provocarti, smussare le tue certezze, e farti ridere davanti una scena terribile.

Ce lo riconferma con Saltburn, opera seconda presentata al Festival del Cinema di Roma 2023 (qui potete leggere la nostra recensione in anteprima) e in arrivo domani nelle sale cinematografiche (in Italia lo vedremo direttamente su Prime Video, a data indefinita).

Se Una Donna Promettente era una spietata black dramedy sulla cultura dello stupro, Saltburn ci catapulta nei meandri dell’alta aristocrazia britannica: dentro un gotico magione, isolato nella campagna inglese, il timido Oliver Pick (Barry Keoghan) non riesce a togliere gli occhi di dosso dal ricchissimo e magnetico Felix Catton (Jacob Elordi), ritrovandosi risucchiato in una spirale di ossessione, desiderio, e follia.

Emerald Fennelll con Barry Keoghan e Jacob Elordi sul set di SALTBURN (CREDIT: Warner Bros.)
Emerald Fennelll con Barry Keoghan e Jacob Elordi sul set di SALTBURN (CREDIT: Warner Bros.)

Ne sa qualcosa o due Fennel di aristocrazia inglese: suo padre, Theo Fennell, disegna gioielli per l’alta società e le ha permesso di frequentare il rinomato  Marlborough College (dove sedevano tra i banchi gente come principessa Eugenia di York o Kate Middleton). Ne sa qualcosa anche di privilegio, e di come la classe sociale abbia ancora un impatto forte su quello che facciamo e diciamo. Come risponde ad un giornalista di NME: “In questa industria in particolare – ma anche nella tua – puoi fare qualcosa solo se i tuoi genitori vivono a Londra e hai la possibilità di lavorare gratis per anni”.

Considera i suoi vantaggi profondi e talvolta  ingiusti, ed è anche da qui che nasce Saltburn: qual è il lato oscuro del privilegio? Cosa siamo disposte a fare per emulare l’altro, per arrivare sempre più in alto e trovarci un posto in quella società? Qual è la nostra relazione con i nostri desideri, e quando diventano pericolosi?

Passiamo parecchi del nostro tempo su internet  a guardare le persone, a fantasticare su di loro, sulle vite che vivono, sui vestiti che indossano, o il cibo che preparano” spiega in un’intervista con Josh Smith “Quell’emozione diventa rapidamente disprezzo di sé, che rapidamente diventa rabbia rivolto verso di loro”.

Piuttosto che porci un pippone esistenziale, la regista sceglie di divertirsi: nelle sue parole, Saltburn è barocco, stupido, sopra le righe e fuori come un balcone. Non c’è una grande morale da tirare fuori, ma solo un contenitore per il peggio dell’essere umano.

Anche stavolta non sarà digeribile da chiunque, ma è proprio quella linea sottile che interessa a Fennell: abbiamo tuttə pensieri strani e perversi nella nostra testa. Invece di sopprimerli, perché non parlarne? E’ la vergogna che ci fa stare male. E’ la vergogna che porta alla violenza, sempre”.

Per lei raccontare storie perverse ha un potere catartico: solo dopo averle scritte capisce meglio cosa la tormenta, e quei mondi terribili frutto della sua mente fanno da antidepressivo. Non forniscono una risposta o una soluzione, ma una valvola di sfogo per il nostro lato peggiore. Permettendoci, nel migliore dei casi, di ascoltarlo e tenerlo a bada. “Come facciamo a vivere in un mondo dove certe cose esistono?” si chiede e risponde: “Non lo so. Per questo creo, perché voglio parlarne, e voglio che lo facciano anche le altre persone”.

Foto in evidenza: Variety

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