Giovani ragazzi ignari da sfruttare sessualmente: Mike Jeffries ex CEO di Abercrombie&Fitch accusato

Suprematismo bianco e traffico di esseri umani: la sordida storia raccontata per intero dalla Bbc. Il vertice attuale di Abercrombie & Fitch si dice inorridito.

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aberrcrombie Mike Jeffries bbc
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Nel sogno febbrile che furono i primi anni 2000, dove l’unico imperativo categorico era di non interrompere quel party sconsiderato che erano stati gli anni 90’, poche cose erano certe: il cellulare aveva i tasti fisici, i jeans erano a vita bassa e i commessi di Abercrombie&Fitch erano tutti boni mozzafiato.

Era il 29 ottobre 2009 quando il primo megastore di A&F fece il suo debutto in Italia, precisamente in zona Duomo a Milano. Data che segnò anche l’inizio dell’esodo infinito di adolescenti, studentə universitariə e sommellier del petto nudo verso quel luogo perdizione.

Da Abercrombie&Fitch la gente non veniva a comprare, ma per farsi immortalare di fianco a uno di quei marcantoni statuari davanti al negozio. Qui si comprava l’esperienza. Carne e sorrisoni imbarazzati al chilo.

Eppure, negli anni 2000 l’oggettificazione del corpo – maschile o femminile – era un costume radicato in occidente, nessuno si scandalizzava. Ed è anche forse per questo motivo che le torbide pratiche dei piani alti di A&F sono rimaste celate così a lungo.

Ma oggi, con l’ex CEO Mike Jeffries, accusato di sfruttamento sessuale e traffico di esseri umani, in un turbinio di eventi che lo porta a collegarsi al famigerato Jeffrey Epstein, forse è il caso di scoperchiare il vaso di Pandora, sul filone del documentario White Hot. Ci toccherà però tornare indietro di qualche anno.

abercrombie&fitch storia

Ma perché sono tutti boni?

Abercrombie&Fitch non ha mai finto di essere un brand inclusivo. Dall’insediamento di Jeffries come CEO della compagnia nel 1992, il motto era: “noi ci rivolgiamo a quelli fighi. E non vogliamo che nessun altro indossi i nostri vestiti”.

L’arroganza di Jeffris attirò ben non poche critiche verso la compagnia già allora, ma poco importava. A chi comprava da Abercrombie&Fitch non interessava l’opinione delle persone brutte. Chi acquistava diventava parte di un’elité. Per non parlare di chi ci lavorava.

Il processo di recruitment al maschile per lavorare da A&F era semplice: sei bono, alto, con due spalle così e fai in palestra otto giorni alla settimana? Benvenuto nel team. L’importante è che tu non sia nero, disabile o trans. Chi si discostava dallo stereotipo, veniva al massimo relegato in magazzino.

A&F era un concetto che in Italia non è arrivato del tutto. Negli Stati Uniti, l’ideale del ragazzo bianco, sbarbato, bello, pieno di amici e di ragazze, quella del quarterback del liceo alla Zac Efron, contrasta nettamente con lo standard nostrano del cattivo ragazzo moro e tenebroso.

Per noi, Abercrombie&Fitch era un negozio di abbigliamento come un altro, con un’idea innovativa e niente più. Negli Stati Uniti, era il suprematismo bianco abbellito da giacche di flanella e jeans alla scagazza. Ma se dovessimo snocciolare una ad una tutte le cause per discriminazione, maltrattamento, molestie sessuali perse da A&F, faremmo notte.

La più degna di nota, tuttavia, merita una menzione particolare.

abercrombie&fitch-bruce-weber
Mario Testino e Bruce Weber

Sei stato “brucifisso”!

Facciamo un grosso salto in avanti, e arriviamo a dicembre 2017. Il fotografo di moda Bruce Weber – la cui estetica omoerotica di derivazione classica fu assorbita da Abercrombie&Fitch – viene accusato di molestie sessuali da alcuni modelli insieme al collega Mario Testino. 

Erano i tempi del movimento #MeToo, e dalla caduta di Harvey Weinstein tuttə lə lavoratorə dello spettacolo erano osservati con diffidenza: chi sarebbe stato il prossimo idolo di Hollywood ad essere accusato o ad accusare qualcun altro di comportamenti inappropriati?

Fu in quel momento che il modello Jason Boyce si fece avanti per raccontare della propria terrificante esperienza con Weber.

Se ti lasciassi un po’ più andare potresti davvero sfondare. Dove vuoi arrivare? Quanto sei ambizioso?

Così parlava il fotografo per persuadere Boyce a marsturbarsi davanti a lui per poi farsi toccare lui stesso. Una relazione che sfociò in una vera e propria “sindrome di Stoccolma”, in cui il modello si sentiva costretto a prestarsi a ogni desiderio di Weber pur di preservare la propria carriera.

Le conseguenze sulla psiche di Boyce furono devastanti. Ansia, depressione e uno stress incontenibile lo spinsero a trasferirsi da New York alla California per fuggire da quel mondo.

Ma Boyce non fu sicuramente l’unico. Un trattamento simile verso i modelli da parte di Weber era così normalizzato che ormai esisteva anche un termine per definirlo: la brucifissione. Almeno 20 modelli ne sarebbero stati vittime.

Il che avrebbe dovuto far suonare un campanello d’allarme su cosa si nascondeva dietro la sfavillante facciata del brand, e su cosa i piani alti erano disposti a “chiudere un occhio”.

Il collegamento tra Abercrombi&Fitch e Jeffrey Epstein

Mentre a Weber veniva permesso di agire indisturbato, Les Wexner, amministratore delegato dell’allora società genitrice di A&F, L Brands, intratteneva una relazione professionale con Jeffrey Epstein, banchiere decaduto e divenuto tristemente noto per reati sessuali.

Wexner affidò al magnate una considerevole parte del suo patrimonio personale e gli consentì di agire come “scout di modelli” per marchi come Abercrombie & Fitch e Victoria’s Secret.

Tra le decine di cause non strettamente correlate intentate contro Epstein, anche quella di essere coinvolto in un vastissimo traffico di esseri umani – in cui erano coinvolti anche minorenni – in party sfrenati a cui avrebbero partecipato star di Hollywood ed esponenti dell’élite democratica.

Jeffery Epstein morì in circostanze misteriose nel 2019: fu ritrovato nella sua cella “impiccato”, anche se dall’autopsia emersero segni di strangolamento ricollegabili con un omicidio.

Epstein era un pezzo grosso e aveva tanto fango da gettare sull’elite, ora che non aveva più niente da perdere. È facile fare due più due. Eppure, oggi il caso è stato archiviato, e la causa ufficiale della morte del magnate è stata classificata come suicidio.

Il cerchio si chiude

Oggi, quelli che sembravano tasselli sparuti di una fantasiosa teoria del complotto diventano elementi chiave per decodificare la vicenda che recentemente ha coinvolto l’ex CEO di Abercrombie&Fitch, Mike Jeffries, nelle scorse settimane.

Secondo quanto riportato dalla BBC, Jeffries sarebbe accusato di sfruttamento sessuale in eventi organizzati non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo.

Un sottobosco con regole e protocolli a sé, una “rete altamente organizzata” utile a reclutare giovani modelli per Jeffries e il suo compagno, Matthew Smith, da utilizzare poi come merce di scambio durante party milionari da Londra a Parigi, fino a Marrakesh e i Caraibi.

Era in particolare nei paesi poveri che gli intermediari reclutavano i giovanissimi escort ignari, che non sarebbero stati a conoscenza del ruolo che avrebbero dovuto assumere durante le feste sfavillanti in cui sarebbero diventati, a loro malgrado, l’attrazione principale.

Jeffries e Smith hanno finora evitato di reagire alle imputazioni. L’organizzatore, dal canto suo, non ha negato gli eventi ma ha affermato che tutti i presenti alle feste erano “consapevoli” e avevano dato il loro consenso.

Tuttavia, gli stessi partecipanti confutano questa affermazione, sottolineando manipolazioni, inganni e abusi manifesti.

Il vertice attuale di Abercrombie & Fitch – artefice di un totale rebranding del marchio verso una maggiore inclusività – ha espresso il proprio “orrore e disgusto” in relazione alla vicenda, qualora tutti gli elementi venissero verificati.

E, ad oggi, si attendono nuovi risvolti che possano gettare luce su una vicenda scabrosa e desolante, le cui vittime attendono giustizia da quasi vent’anni. 

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