Libri: intervista all’autore di “L’amore ai tempi dell’Hiv”

Sandro Verniani ci parla del suo romanzo e dell'HIV oggi

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L’amore ai tempi dell’Hiv di Sandro Verniani è la storia di due ragazzi e di come la loro storia venga condizionata dalla scoperta della sieropositività di uno dei due. Il romanzo affronta la tematica della sieropositività vista attraverso l’amore e un punto di vista, moderno e attuale, dove la vita e l’affermazione dei sentimenti possono vincere sulla malattia. L’ambientazione del romanzo in Cina porta all’attenzione dei lettori il rapporto di questo paese con l’omosessualità e la sieropositività: scopriamo che vigono ancora legislazioni arretrate, pregiudizio e ignoranza, aspetti che anche in altri paesi (persino europei) possono condizionare la libertà e i sentimenti stessi. Lo scontro di cultura con l’occidente avviene sul terreno della malattia dove l’unica arma a disposizione dei protagonisti sono i loro sentimenti. Paolo e David, il primo italiano e il secondo australiano, creano un interessante confronto tra tre paesi, Italia, Australia e Cina e tra diversi modi di vivere e affrontare l’HIV, l’omosessualità, l’uguaglianza di genere.

Abbiamo incontrato l’autore del romanzo Sandro Verniani e abbiamo cercato di capire, attraverso il suo punto di vista, come oggi viene avvertita la sieropositività, la situazione dei diritti delle coppie gay in Cina, la forza di questo romanzo e il prezioso messaggio che può lasciare ai lettori della comunità LGBT (e non solo).

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Partiamo subito dal titolo del libro. Cosa vuol dire amarsi oggi quando uno dei due partner ha l’HIV?
Il titolo ovviamente non è una mia creazione originale, ma si rifà a L’amore ai tempi del colera di García Márquez. Cambiano i tempi e cambiano le malattie, ma soprattutto cambia il modo di relazionarsi gli uni agli altri. Non sono cattolico, ma sono comunque cresciuto nella cultura dell’amarsi e rispettarsi nella salute e nella malattia finché morte non ci separi, quindi con questo romanzo volevo un po’ vedere se oggi l’amore davvero tiene uniti aldilà di tutte le difficoltà, di salute e non. La vita di una coppia sierodiscordante oggi può essere, diciamo, facile. E lo è più o meno anche quella di un sieropositivo. Ma i fattori da tenere in considerazione sono tanti. A livello medico ad esempio, in Italia è così com’è ho detto, perché fortunatamente le terapie per i sieropositivi sono gratuite e consentono una vita lunga e normale; a livello psicologico già meno facile, in quanto l’Italia continua ad essere un paese con una forte discriminazione nei confronti degli omosessuali, dei sieropositivi, e delle coppie omosessuali. Ne L’amore ai tempi dell’Hiv sono 3 le culture a confronto. Quella totalmente open-minded australiana rappresentata da uno dei due ragazzi della coppia protagonista, quella mediamente open italiana di Paolo, l’altra metà della coppia, e quella arretrata della Cina, che fa da ambientazione alla storia raccontata.

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Perché la necessità di parlare di amore e HIV?
Questo romanzo parla di una storia specifica, e non ha la pretesa di poter essere generalizzabile a tutti i casi più o meno simili. Volevo parlare di HIV portando all’attenzione, in maniera romanzata, dettagli medici o tecnici che tanti non conoscono, senza voler scadere nella mera cronaca che poteva essere troppo dettagliata e noiosa. Del resto, nemmeno L’Amore ai tempi del Colera è un trattato sul colera. Ma volevo anche parlare dell’impatto psicologico che questa condizione di salute ha sulla vita sentimentale. Sono sicuro che molti sieropositivi che leggeranno hanno provato sulla loro pelle il rifiuto di persone amate alla notizia della loro sieropositività. Per un sieropositivo la paura di venir sempre rifiutato per questa sua condizione può creare un blocco psicologico che lo porta a non cercare nemmeno più l’amore. La causa è ancora lo stigma a cui ho accennato prima, e questo deve cambiare assolutamente.

Secondo te vi è una corretta informazione sul tema in Italia?
Il danno grosso è stato fatto un ventennio fa con la famosa campagna “progresso” con gli aloni viola. Servì solo a diffondere il terrore e la disinformazione. Oggi sono tante le associazioni che parlano e diffondono una informazione corretta. È anche vero che comunque tanta gente non vuole informarsi. Paolo, protagonista del romanzo, pensava che l’HIV non sarebbe mai stato una cosa di cui doversi interessare perché accadeva solo ai tossici o agli abitanti del terzo mondo, e in questo Paolo è un po’ lo specchio di molti italiani, che adottano la tattica del “se non mi misuro la febbre e non so a quanto ce l’ho, è come non averla”. Mi piace molto lo slogan utilizzato attualmente per incoraggiare a fare il test HIV : “L’unica differenza è saperlo”. È vero, con l’HIV si può vivere pacificamente, ma sapere di averlo è fondamentale, per sé stessi e per gli altri con cui ci rapportiamo.

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Perché la scelta di ambientare il romanzo a Shanghai?
Ho vissuto in Cina per un certo periodo, a Shanghai, e quindi alcuni spunti degli avvenimenti narrati si può dire che siano tratti dalla mia esperienza diretta sul luogo. Sono andato là dopo anni di studio della lingua e della cultura cinese, con una tesi di laurea sulla produzione letteraria e cinematografica a tematica omosessuale di fine ‘900, quindi col massimo del rispetto verso questo paese. Ahimè, ne sono tornato con un’idea molto meno positiva. Vedere l’arretratezza della Cina in tema di diritti umani è stato scioccante. Voler ambientare il romanzo a Shanghai quindi mi è sembrata una buona idea per far conoscere al pubblico italiano una realtà poco discussa qua da noi, e rendersi conto che come comunità gay abbiamo ancora molto da raggiungere non solo in Italia ma anche altrove.

I tuoi riferimenti letterari?
Sono cresciuto leggendo “Figli e amanti” di Lawrence intriso di ossessioni e turbamenti psicologici, “La signora delle camelie” di Dumas con il suo trasporto passionale, “Il fu Mattia Pascal” di Pirandello con la sua ansia di nascondere la propria persona/personalità, e altri classici del romanticismo e del ‘900, quindi per me scrivere un romanzo ancora significa parlare di una storia, nel caso specifico di una storia d’amore, delle difficoltà che essa comporta, ma anche della bellezza di questo sentimento. La parte più cruda del linguaggio, sicuramente invece trova dei riferimenti in autori più contemporanei che amo molto, fra tutti Niccolò Ammaniti e Jonathan Coe.

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Cosa pensi possa dare a un lettore il tuo romanzo?
Penso che “L’amore ai tempi dell’Hiv” sia una storia che ancora non era stata raccontata, quindi in primo luogo spero che il lettore percepisca questa novità. Spero però che non venga presa come modello per dire “ecco, le cose in una coppia sierodiscordante vanno sempre così”. Quello che racconto é uno dei casi possibili, magari non il più felice, ma è ciò che era destinato a succedere vista l’inesperienza e disinformazione dei protagonisti, visto il contesto in cui si trovano a vivere, e così via. Vorrei che i lettori poi percepissero anche l’importanza del senso di “chiusura” in tutto ciò che si fa. Per quanto drammatica una situazione possa essere, l’importante è risolvere con sé stessi il dramma provato. Negare, chiudere gli occhi, evitare di risolvere una relazione o una qualsiasi situazione, fa sì che nella vita ci porteremo sempre degli strascichi non risolti che sono come delle ferite aperte, pronte a far di nuovo male a ogni occasione.

Il libro è acquistabile in formato cartaceo (si riceve dopo 2-3 giorni dall’acquisto all’indirizzo fornito) su vari siti, fra cui Ibs, Amazon e quello della casa editrice Epsil. Sarà possibile trovarlo direttamente in libreria (distribuito da Feltrinelli) a partire da gennaio, e sempre a partire dal 2016 sarà disponibile in versione ebook.

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