Oggi si può vivere con l’Hiv dimenticando pure di essere positivi al virus. Sembra incredibile, poiché l’opinione pubblica è ancora molto distante da una piena normalizzazione dell’infezione da Hiv ed è colma di pregiudizi e paure nei confronti di chi vive con il virus. Abbiamo parlato con 3 persone che vivono con Hiv e ci hanno raccontato la loro storia.
Cosa significa U = U
Con il principio U=U (undetectable=untrasmissable, e cioè non rilevabile=non trasmissibile) si intende che le persone con HIV, che grazie alla terapia antiretrovirale raggiungono e mantengono livelli non rilevabili del virus nel sangue, non possono trasmettere il virus ad altre persone, nemmeno attraverso rapporti sessuali non protetti.
Vi abbiamo già raccontato la storia di David, che ha argomentato meglio quel che possiamo riassumere nella sua frase: “Non penso più al virus da quando prendo la terapia” – qui per leggere la sua testimonianza. Affrontiamo ora il tema dell’Hiv nella coppia, con la storia di Enrico.
Enrico: quando l’ho detto al mio compagno la risposta è stata “Sì, anche il mio coinquilino ha l’Hiv ed è ok, so tutto”
Sono Enrico Caruso, ho 36 anni e lavoro a Milano Check Point, dove gestisco il servizio PrEP. Vivo a Milano, città dove sono nato. Mi definisco una persona gender queer e amo i fumetti e i videogiochi. Da 11 anni sto con il mio compagno Paolo, che da 2 anni è diventato mio marito. Vivo con Hiv da 12 anni.
Facevo abbastanza regolarmente i test per le infezioni sessualmente trasmissibili e a dicembre del 2012, mi venne comunicato l’esito: positivo all’Hiv. Lì per lì è stato disorientante. L’unica cosa che mi ricordo oggi è il poco tatto del medico a capire il mio stato di disorientamento, senza empatia, andando dritto agli aspetti pratici e a quali sarebbero stati gli step successivi.
Mi ripresi in poco tempo. Fortunatamente ho fatto un percorso di studi in biologia, e conoscevo perfettamente l’Hiv per quello che era, un virus per il quale esistevano dei trattamenti efficaci che mi avrebbero permesso di vivere bene e a lungo. Dopo la diagnosi, ne parlai subito con gli amici più stretti.
La mia diagnosi coincideva con la mia discussione di tesi, mi ricordo che l’infettivologa mi disse: – Prima discuti la tesi e poi cominciamo la terapia -. Aspettai circa un mese.
Da allora, da quando ho iniziato la terapia, la mia vita è continuata senza troppi intoppi.
Ho fatto coming out pubblico come persona che vive con Hiv sui social nel 2022, è andato tutto alla grande, le persone sono state molto empatiche e non ho ricevuto nessuna shitstorm. Era un po’ strano, con il contenuto pubblicato sui social, la mia condizione era accessibile a tuttə. Dopo qualche mese scoprii che alcune persone dell’istituto di ricerca dove lavoravo in precedenza avevano commentato il mio coming out come inopportuno, poiché ritenevano che questo tipo di informazioni dovessero rimanere cose private. Ma non mi sono sentita ferita, anzi ho pensato:
Ho fatto la cosa giusta.
Non ho mai avuto problemi di discriminazione, nemmeno nei rapporti sessuali, anche se generalmente non dichiaro il mio stato sierologico, sono undetectable e non posso trasmettere il virus e quindi non ce n’è nessun bisogno.
Ho deciso di parlarne a Paolo un mese e mezzo dopo il nostro primo incontro, questo perché all’inizio eravamo più scopamici che compagni, ma appena la nostra storia è diventata qualcosa di più è stato importante parlarne con lui. Lui è stato il primo e l’ultimo fidanzato con il quale ho fatto coming out, ma la sua risposta è stata:
Ah si, anche il mio coinquilino ha l’Hiv ed è ok, so tutto.
Per me è stato davvero rassicurante. Le uniche persone con il quale non ne ho mai parlato sono i miei genitori, perché penso che non abbiano gli strumenti per capire cosa vuol dire vivere con l’Hiv oggi e per quello che è il nostro rapporto attualmente, non ho voglia di accompagnarli in questo percorso di conoscenza.
Rispetto alla mia routine l’Hiv occupa solo l’0,1 %. Nel mio lavoro a volte parlo anche di me e racconto la mia storia, ma se penso alla mia routine e alla terapia, non mi pesa per niente, anzi per come sono fatto mi dimentico che la pillola che prendo è per trattare l’Hiv, è solo una terapia quotidiana. E quando mi viene in mente che serve a tenere sotto controllo l’infezione non c’è nessun sentimento negativo, al contrario sono contento di prendere quella pillola e di prendermi cura di me stesso.
Credo che se non avessi l’Hiv oggi prenderei la PrEP (qui le testimonianza di persone che assumono PrEP ndr). Consapevolezza e conoscenza del virus sono le migliori armi oggi per vivere al meglio la propria sessualità, sia per chi vive con l’Hiv, sia per chi non ce l’ha.
Rispetto al coming out, penso che le persone si debbano sentire pronte per farlo. L’Hiv oggi, nonostante dal punto di vista clinico possa essere considerato un’infezione “normale” e le persone con Hiv non possono trasmettere il virus se in terapia e con carica non rilevabile (leggi la storia di questa sentenza ndr), non è ancora percepito come un’infezione ma una “malattia” sociale (il cosiddetto stigma da hiv, qui il nostro sondaggio ndr).
Sul piano politico credo che dovremmo ragionare di più collettivamente su come abbattere il peso sociale nei nostri confronti: ipoteticamente, se tutte le persone Hiv positive facessero coming out e ci fosse un’educazione alla cultura della salute sessuale, probabilmente tutto migliorerebbe. Ma allo stato attuale c’è ancora tanto da fare e le persone con Hiv si devono tutelare dallo stigma e il coming out continua a rimanere un privilegio.
Leggi: Gli indimenticabili momenti storici contro lo stigma dell’hiv
Mi sento però di mandare un messaggio alle persone che vivono con Hiv: se vi sentite sicure fate coming out, cominciate dalle persone con il quale siete più serene, vivere una sola vita con le persone vicine normalizza e migliora la qualità dei rapporti e il benessere personale. L’isolamento è uno degli aspetti peggiori che spesso accompagna chi vive con Hiv, un consiglio è quello di frequentare spazi protetti dove trovare dei pari e confrontarsi, come le associazioni, perché questo tipo di confronto è liberatorio e fa sentire meno solə.
Leggi: 2016, quando Jonathan Bazzi fece coming out: “Ho l’HIV e per proteggermi vi racconterò tutto”
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