TORINO – E’ tornata la magia, a Torino. Arturo Brachetti, considerato internazionalmente il più grande trasformista vivente, erede di Fregoli e apprezzato da Fellini (“Arturo è l’ultimo clown” disse il supermaestro), ha portato sogni e fortuna in una città barocca dalle architetture geometriche, affollato da tante simpatiche fattucchiere, parecchi Patch Adams come il Mago Sales e qualche segreto che parla di inquietanti alchimie, sette spiritualiste e bizzarre apparizioni: valga per tutte l’anniversario per la morte del sensitivo Rol.
La capitale subalpina è stata scelta come prima mondiale del suo spettacolo ‘L’uomo dai mille sogni‘ che ha già avuto una replica straordinaria per soddisfare la richiesta di biglietti. L’evento imperdibile (il ‘Peter Prans’ di casa nostra è stato via sette anni) si poteva cogliere dalla ressa all’ingresso e dal parterre del teatro-conchiglia: alla fine degli interminabili applausi Brachetti ha fatto salire la sua “mamma finta” Sandra Mondaini e persino quella vera, una splendida signora orgogliosamente ‘anta’.
Il tuo splendido show è finalmente tornato a casa. Il successo è stato grande e il pubblico entusiasta ha riso, si è meravigliato, ha persino pianto: per non parlare degli infiniti applausi finali. Come ti è parsa l’accoglienza del popolo turinéis?
Trionfale. Ho potuto anche rivedere molti amici e compagni di scuola che non vedevo da trent’anni.
Paganini non faceva bis, ma Pasolini girava più volte la stessa scena. Perché tu non ne fai?
Il bis è un trucco. Sai, il nostro produttore è canadese, non ha questa mentalità…
Il tuo show-kolossal ha un ritmo perfetto e, rispetto alla versione francese, ha più cinema classico e meno astrazione, più memoria e meno scatolette…
Sì. Abbiamo usato una mentalità americana, lì usano Shakespeare e le sue strutture narrative, si chiedono sempre: dov’è l’azione? E il personaggio?
La parte felliniana è una delle più emozionanti, con i film in bianco e nero che mescolano realtà e finzione, elefanti, rinoceronti e il circo di ombre cinesi. Mancavano solo la gazzella e Sbirulino e poi c’erano tutti…
Sì, bisogna mescolare la realtà col teatro, un po’ come nel neorealismo. Anche in sala c’era un po’ di tutto, un vero chapa chapa…
Come hai trovato il pubblico italiano?
Il pubblico si rinnova sempre, non l’ho trovato invecchiato. Dicono che al nord sono freddi: secondo me al sud sono semplicemente più teatrali. Bisogna solo diffidare di chi ha diritto di parola in televisione, come quelli del Grande Fratello che diventano opinionisti. I bambini rincoglioniscono con troppa tv, bisogna metterli a giocare con un pezzo di legno o della stoffa sennò diventano sempre più soli.
Nel tuo spettacolo interpreti 80 personaggi, da Spiderman a Barbie, da Pinocchio a una splendida Liza Minnelli. Il travestitismo è anche funambolismo?
E’ un cambiare camaleontico, ci sono diversi vestiti in base all’occasione, dal matrimonio al funerale. Ma ci sono anche gli uomini tutti d’un pezzo! Secondo me bisogna rinnovarsi anno per anno, cambiare guardaroba. Ma siamo tutti fashion victims anche se poi quelli coi vestiti firmati a volte non sono nessuno.
Il tuo show è pieno di riferimenti sessuali, a partire da quell’armadio pieno di giochi per bambini e bambine… Se dovessi nascondere qualcuno nell’armadio chi ci metteresti?
Gli ottusi e i paraocchi, politicamente e sessualmente!
In Spagna stanno per arrivare i matrimoni gay, tu che ne pensi?
Secondo te? Assolutamente favorevole. Meno sull’adozione: mi mancherebbe la figura di mamma, anche se è meglio due papà che nessuno. Ho amici gay che stanno insieme da trent’anni. E’ assurdo che uno non possa andare in ospedale a curare la persona che ama oppure un extracomunitario che non ha diritto a tenere con sé la persona a cui è legato. Comunque ai miei spettacoli faccio entrare tutti, a partire dalle due Simone…
In Francia c’è una tradizione di teatro gay legata al camp molto più forte che in Italia, come mai secondo te?
Il segreto è che bisogna essere veri. Platinette ha una testa sotto. Conosco molti attori e attrici en travesti in giro per il mondo. Dame Edna è un travestito con occhialini a goccia che è una star a Londra, è sposato e ha una vita regolare. Eppure la menzogna è più affascinante della verità e il fascino dell’illusione ha la sua importanza. Non si tratta di una passerella di costumi ma di fascino poetico.
E se esistesse un clone al femminile di Brachetti come si chiamerebbe?
Forse Biancaneve, carina e leggera. Nei miei show c’è tutto: il camp, il kitsch e persino il grottesco. E’ un entusiasmante e colorato grande gioco anche terapeutico: bisogna trovare sempre la stimolazione della meraviglia.
Il tuo gay preferito?
Tra quelli che conosco forse Rupert Everett o Brad Pitt prima maniera, stile ‘Thelma & Louise’.
Ma non era gay in ‘Thelma & Louise’! Era un ladraccio…
Allora Keith Haring.
Ma non c’è più… va bene che la media della vita si è alzata a 80 anni ma tu non invecchi mai?
Sai, quando la mamma mi dice nello spettacolo come faceva quand’ero piccolo: “non toccare la mia borsetta” e poi vederla contenta, emozionata, mica è routine quella. Come quando poi ritrovo nella stessa borsetta i biglietti del cinema.
Certo, bisogna avere qualche routella fuori posto, no?
Beh, in un certo senso…
I torinesi si potranno godere il tuo spettacolo ancora per un po’ ma il resto d’Italia?
Arriveremo anche al sud ma prima faremo quattro mesi a Parigi, poi il Belgio e il mercato anglofono.
Il tuo spettacolo è stato visto da più di un milione di spettatori, com’è stata l’esperienza americana?
Un po’ alienante ma interessante. In California ho fatto anche una sitcom ma la mia città preferita resta New York. Lì han bisogno di un fantasma che porti fortuna…
Come non credergli? Dopotutto basta vedere la folla contenta che esce ridendo dal teatro, osservare la sua fantastica tenuta da campione di wrestling e i suoi cento costumi (ma quale tecnica geniale gli permette di cambiarsi così in fretta?), far frullare un po’ di ingredienti luminosi e saporiti e il gioco è fatto.
Ciao, Arturo
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