Il prossimo 3 luglio il matrimonio omosessuale in Spagna compie 5 anni (legge 13/2005). L’anno scorso i matrimoni gay, secondo le statistiche ufficiali, sono stati 3500, per un totale di circa 12mila dal 2005. Nonostante l’opposizione feroce della chiesa cattolica e del Partito popolare, in Spagna ormai parlare di "mio marito" per un uomo o di "mia moglie" per una donna almeno nelle grandi città non suscita nemmeno una levata di sopracciglio. La chiesa in questo paese appare nei giornali e nei notiziari quasi solo per parlare degli scandali sessuali dei prelati. Anche se le cerimonie della settimana santa rimangono una tradizione secolare molto sentita in alcune parti del paese, nel complesso l’ex roccaforte dei principi cristiani è un paese sempre più laico.
La recente uscita della traduzione in spagnolo (dall’originale galiziano) del libro Elisa e Marcela – oltre gli uomini ci sembra quanto mai opportuna per celebrare questo anniversario. È la storia, raccolta dall’ordinario di teoria e storia dell’educazione nell’università di A Coruña Narciso de Gabriel, del matrimonio omosessuale ante litteram di Elisa e Marcela, due semplici e coraggiose maestre galiziane, avvenuto l’8 giugno 1901. Certo, allora dovettero usare un piccolo trucco. Così ingenuo che durò molto poco: una delle due, Elisa, dovette farsi passare per uomo (Mario). Ma, sorprendentemente, l’escamotage riuscì in un primo tempo a convincere il parroco, desideroso di nuovi proseliti – fu lui stesso a battezzarlo e a fornirgli lo strumento legale per potersi sposare – e anche molti parrocchiani. Perciò questo si può ben definire, come fa El mundo, il primo matrimonio gay in Spagna di cui si abbia notizia.
Come racconta de Gabriel, la cui ricerca fra articoli di giornale e documenti ufficiali è durata 15 anni, le due poco dopo il matrimonio si rifugiarono in Portogallo, a Oporto, dove però vennero arrestate e giudicate per possesso di documenti falsi. La Spagna nel frattempo ne chiese l’estradizione, ma visto che il Portogallo le assolse ("Mario" non aveva ancora usato il suo documento falso quando venne scoperto), riuscirono a scappare a Buenos Aires, al tempo meta di moltissimi emigranti galiziani. Ma il caso aveva fatto in tempo ad arrivare alla stampa e per alcuni mesi la vicenda del "matrimonio senza uomo", come titolò un giornale locale, occupò tutte le prime pagine, e la controversa foto del matrimonio fu pubblicata con grande clamore.
Le due poverette all’inizio non si aspettavano che la storia diventasse di pubblico dominio e, dopo i primi tentativi di farsi passare per uomo e poi per ermafrodita, ipotesi che due controlli medici smentirono, Elisa opta per riacquisire i panni femminili in cui desideravano vederla i suoi contemporanei. Nonostante quanto scritto dalla stampa, in ogni caso, sul registro di matrimonio della chiesa dove si sposarono non risulta nessuna nota di "annullamento" del matrimonio, come spiega de Gabriel.
La cosa interessante è che, passato il primo momento di scandalo, almeno a Oporto, la gente comune più che criminali le considerava "disgraziate", delle poverette che non avevano fatto nulla di male. Tanto che si raccolsero fondi in loro favore che consentirono loro di sopravvivere dignitosamente in carcere e fuori. Addirittura il direttore del carcere riservava loro un trattamento di favore. Il che fa sospettare che, oggi come allora, le convenzioni sociali e le barriere sono più nella testa dei bigotti che fra le persone reali.
La storia, per i lettori del tempo, si fa ancora più piccante quando, qualche tempo dopo essere uscite dal carcere, Marcella dà alla luce una bambina. Si scatenano le ipotesi più disparate (inclusa quella "divina"), fino a che la stampa sembra arrivare ad avvalorare la tesi che Elisa volesse proteggere l’"amica" da una gravidanza indesiderata, dandole un marito "rispettabile". L’altra ipotesi che de Gabriel ritiene plausibile è che le due coraggiose donne avessero consapevolmente pianificato una discendenza.
Fatto sta che una volta arrivate a Buenos Aires, le tre tornano sotto le luci della ribalta perché Elisa decide di sposarsi, probabilmente contando in una sua veloce dipartita, con un ricco danese di 65 anni. Il quale però la denuncia, insospettito dal fatto che lei si negasse ad avere rapporti sessuali con lui e pungolato dalla voce che si fosse già sposata con una donna. Ma anche in quel caso, per la terza volta, i medici certificano il sesso femminile di Elisa.
Dopo quest’ultima apparizione pubblica, le tre donne tornano a essere inghiottite dall’anonimato. Come sottolinea anche l’autore del libro, è un peccato che, a parte quanto raccontato dalla stampa, si conosca solo il punto di vista del potere (ecclesiastico, giudiziale, amministrativo – le due erano maestre) e non il loro punto di vista personale. Ciò che è chiaro, dichiara in una intervista, "è che non volevano essere una semplice coppia di fatto. Ambivano a un matrimonio con tutti i crismi". "Questa – aggiunge in un’altra intervista – è più una storia di genere che di sesso. Suscitava censura ma anche fascino il fatto che Elisa fosse capace di rompere la barriera fra genere maschile e femminile solo tagliandosi i capelli e vestendo da uomo".
Nella seconda parte del libro, dopo aver raccontato con dovizia di particolari, suffragati dal materiale raccolto, la curiosa storia – che verrà portata al cinema da Filmanova, che ha già ottenuto i finanziamenti relativi – l’autore della biografia smette i panni dello storico e indossa quelli del sociologo. E cerca di rileggere la storia da quattro punti di vista diversi e complementari, che al tempo non erano ben delimitati: l’ermafroditismo, il lesbianismo, il travestitismo e il femminismo.
Nella capitale galiziana è da tempo che i gruppi lgbt chiedono che alle due donne venga intitolata una strada. La scienziata sociale dottoranda in prospettive di genere Raquel Blatero sostiene che è probabile che esistano molte altre storie come questa. "In questa il piano è fallito, ma non sappiamo nulla delle storie in cui tutto ha funzionato bene".
di Luca Tancredi Barone
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