Poco meno di due anni fa, era il 10 novembre 2017, nel parco del Ninfeo di Roma, all’Eur, venne trovato il corpo senza vita della 27enne Laurentiu Ursaru, prostituta transgender romena uccisa a coltellate dal 37enne romano Emanuele Veronesi.
Ebbene la prima Corte d’assise d’appello ha confermato la condanna emessa nel dicembre scorso, a conclusione del processo che si svolse col rito abbreviato: 16 anni di reclusione, con le accuse di omicidio volontario, evasione, rapina e porto illegale di coltello. Il rito abbreviato riduce la pena di un terzo.
Veronesi, all’epoca agli arresti domiciliari, riuscì a togliersi il braccialetto elettronico e una volta all’Eur pagò 20 euro per un rapporto sessuale con Laurentiu. Una volta scoperta la sua natura transgender, la richiesta di riavere i soldi indietro. Nacque una violenta colluttazione, comparve un coltello, e l’uomo colpì la donna, oltrepassando cuore e polmone. Gup e giudici di appello non hanno mai creduto alla sua tesi, ovvero che la coltellata partì ‘accidentalmente‘.
Dolore e rabbia, all’epoca, vennero esplicitati da Ottavia Voza, responsabile politiche trans di Arcigay.
Siamo di fronte all’ennesimo fatto di violenza efferata ai danni di una persona trans, a meno di dieci giorni dalla ricorrenza del TDoR, il 20 novembre, la giornata in cui in tutto il mondo si ricordano lue vittime di transfobia. L’Italia, come ribadiamo ogni anno in occasione di questa amara ricorrenza, è tra i Paesi col tasso più alto di violenza nei riguardi di transessuali e transgender e l’assassinio di Laurentiu non fa che obbligarci a fare i conti con l’inutilità dei nostri moniti e dei nostri allarmi. Occorre che l’indignazioni si canalizzi in rivendicazioni e risposte concrete: per il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione, senza gabbie e labirinti procedurali, per lo sviluppo di politiche vere per l’accesso alla formazione e al lavoro, politiche in grado di rappresentare una possibilità per quelle esistenze drammaticamente provate dalle difficoltà prodotte dallo stigma, dall’emarginazione, e dalla disoccupazione, che ne costituisce il primo esito.
“Questa condanna” – dichiara oggi Fabrizio Marrazzo, portavoce Gay Center – “è un piccolo segnale di giustizia che riceve la nostra comunità, anche se 16 anni di carcere non riporteranno in vita Lauren e per molti di noi sono pochi per chi ha tolto la vita ad un persona solo perchè era trans. Per questo serve una legge contro l’omotransfobia, che oltre ad inasprire le pene, aiuti anche a fare prevenzione, per le migliaia di persone che ogni anno sono discriminate e vittime perché trans, lesbiche, bisex e gay“.
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