LIDO DI VENEZIA – L’amore dei cowboy bisex ci ha convinto. Difficile non commuoversi vedendo il triste finale (c’è chi ha pianto) dell’interessante western di Ang Lee ‘Brokeback Mountain’ sulla romantica passione ultraventennale tra due ragazzi nel Wyoming che si conoscono nel 1963 facendo per un’estate i mandriani di migliaia di pecore. Difficile anche perché non si tratta di un film melenso né sdolcinato nonostante l’alta dose di sentimentalismo messo in campo e alla fine ci si crede davvero a questa unione d’anime gentili tra Ennis Del Mar, biondo e introverso (un ottimo Heath Hedger che recita splendidamente a denti stretti biascicando le parole) e Jack Twist, bruno maldestro e sfrontato (Jake Gyllenhaal, credibile e molto maschile contraltare luminoso della coppia). Unione che resiste ai tradimenti di Jack con maschi in Messico e ai rispettivi matrimoni etero con prole – l’attrice Michelle Williams anche nella vita è moglie di Hedger e sta per dargli un bebè (nel film fa con lui due bimbe ma poi divorzia) – e a una lunga pausa quadriennale che non inficia affatto la travolgente passione. L’unica scena di sesso, molto pudica per altro, è l’approccio iniziale nella tenda, con Jack succube di ormonata malizia che nella penombra indirizza sul proprio sesso la mano di Ennis ubriaco e riceve in compenso una violenta sodomia. «Questa storia finisce qui» chiarisce l’egodistonico Ennis il mattino dopo. «Non sono frocio». Abbondano invece – e meno male – i baci appassionati, gli abbracci virili, i giochi seminudi nel bosco. «Ho accettato il ruolo perché ero certo che Ang Lee avrebbe evitato i cliché per raccontare l’essenza di un profondo sentimento tra due persone» ha dichiarato Ledger in conferenza stampa. «E non importa il sesso, solo chi ha paura del proprio lato omosessuale ha pregiudizi nei confronti dell’amore gay».
Il regista Ang Lee azzecca infatti la caratterizzazione dei personaggi anche perché ne fa degli antieroi comuni (non sono colti, né ricchi, né particolarmente avveduti) lavorando sui sottotoni psicologici – le crisi di nervi improvvise, i dialoghi controllati, l’importanza del cibo in frasi del tipo: «ho sparato a un coyote con palle grandi come mele» – e descrivendo con cura la dimensione naturale in cui si svolge l’azione, tra splendidi scenari montani, in realtà canadesi, con cieli fitti di nuvole candide che sembrano specchiarsi negli enormi greggi sulle distese verdi. È un western doppiamente atipico, ‘Brokeback Mountain’, anche perché a pensarci bene mancano del tutto le pistole – c’è solo un fucile che serve per ammazzare un cervo – e non c’è quella dimensione di ariosa conquista tipica del genere che ha ben pochi precedenti gay (vedi ‘Lonesome Cowboys’ di Warhol o l’italiano ‘Ognuno per sé’ di Capitani con un ambiguo Klaus Kinski a caccia di oro). Certamente non raggiunge le vette espressive dei grandi film, ma ‘Brokeback Mountain’ è onesto, equilibrato, importante. Un progetto molto caro al regista Ang Lee, premio Oscar per ‘La tigre e il dragone’, che abbiamo intervistato nello sfarzoso Hotel Des Bains.
Che cosa l’ha colpita del romanzo breve di Anne Proulx per decidere di farne un film?
Ang Lee – Soprattutto la fine della storia. Qualcosa mi ha turbato profondamente, sono rimasto con un groppo in gola. L’amore è qualcosa di indefinibile, di sfuggente, non ha un vocabolario, un linguaggio per esprimerlo. Il mistero, i segreti di questa vicenda mi hanno appassionato.
Il fatto che trattasse di un amore omosessuale ha contribuito a renderla più interessante?
In realtà credo di aver fatto un dramma per famiglie, non vado a fondo in ciò che riguarda la sessualità, è una storia d’amore romantico.
Il personaggio di Ennis è comunque complesso, sembra che si innamori di Jack non in quanto maschio, pare più etero che omo…
Avevo subito chiara in testa una cosa: non volevo che fosse esplicitamente gay. Se Ennis è omosessuale o no è un mistero. Era difficile immaginarlo. Quando da piccolo vede insieme al padre il cadavere del gay rimane molto turbato e considera una punizione la morte dei genitori. Ma non è importante l’orientamento sessuale, si tratta semplicemente di amore.
Come mai ha scelto Heath Ledger e Jake Gyllenhaal per il ruolo dei protagonisti?
Sono ottimi attori, cercano parti interessanti, complesse e sono aperti alla sfida. Sono subito entrati nel progetto. Avevano l’aspetto giusto e sapevo che non si sarebbero posti problemi nel girare questo film.
È stato difficile girare le scene d’amore e di sesso?
No, sono attori professionisti, hanno subito chiesto particolari tecnici delle scene da girare. Nella lunga preparazione dei personaggi ci siamo preoccupati di più della struttura psicologica, non c’è molto sesso fisico nel film. Era più importante come dovevano rapportarsi tra di loro che non per esempio come toccarsi.
Che impatto crede che possa avere sul pubblico tradizionale una storia di cowboy gay?
Non lo so, io amo molto questa storia, vorrei che arrivasse ovunque ma non mi sembra che possa offendere nessuno.
Che cosa pensa del matrimonio gay e della possibilità di adozione da parte degli omosessuali?
Penso che se due persone sono innamorate desiderose di impegnarsi reciprocamente devono essere protette socialmente e legalmente. Le relazioni gay non hanno sufficiente riconoscimenti e protezione. E’ una buona cosa. Per molte persone non è conveniente semplicemente perché non sono omosessuali. E’ il processo di civilizzazione, è giusto farlo. Sono favorevole anche alle adozioni gay.
Come è stato gestire l’aspetto dei personaggi che nel film invecchiano vent’anni?
Abbiamo evitato make-up pesante per farli apparire meno giovani, è sempre rischioso. Siamo ricorsi a piccoli ritocchi come rughe intorno agli occhi o creme per far apparire più vecchia la pelle.
Lei ha realizzato un altro film gay, ‘Il banchetto di nozze’ (vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino, n.d.r.)…
Sì, quello era una commedia ma credo che questo, essendo un film drammatico, avrà un impatto più profondo nel pubblico…
Lei è un autore eclettico, fa film molto diversi tra di loro, da ‘Hulk’ a ‘Ragione e sentimento’… come mai?
L’importante è avere una storia interessante, essendo orientale e vivendo a New York è inevitabile confrontarsi con progetti molto diversi. Per fortuna riesco a fare i film che desidero realizzare.
Lei è sposato?
Sì, mia moglie è una scienziata, ho due figli di diciotto e ventuno anni.
Quale cinema le piace?
Adoro il cinema italiano neorealista, credo che la scena finale di ‘Ladri di biciclette’ di De Sica sia una delle più belle della storia del cinema. Anche Bergman per me è un modello.
A che cosa sta lavorando adesso?
Ad alcuni soggetti, alcuni in cinese e altri in inglese ma per ora nulla di concreto.
Dove tiene il premio Oscar?
Nel mio studio.
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