Questa storia si svolge a Napoli a metà Ottocento. L’Italia è ancora da fare, ma a lavorare per l’unificazione sono già in tanti. Tutta gente di valore e che ci crede fermamente. Molti sono intellettuali, ma intellettuali di una volta, di quelli che imbracciavano il fucile e non avevano paura di farsi sbattere in galera. Intellettuali come Luigi Settembrini, il nostro protagonista, che per aver osteggiato il regime borbonico viene spedito in prigione e condannato a morte. Fortunatamente per lui la condanna a morte viene poi commutata in ergastolo, e l’ergastolo si riduce a soli otto anni. Nel frattempo Garibaldi ha infatti trionfato e i Borboni sono ormai solo un brutto ricordo.
A Unificazione fatta, Settembrini è un simbolo, un eroe a tutti gli effetti. Riprende i suoi amati studi, ottiene la cattedra a Napoli e diventa Senatore, ma non riesce a finire il suo testamento letterario, le Ricordanze; la morte lo coglie infatti nel 1876 all’età di 63 anni. Seguono intitolazione di scuole e di strade; a Napoli e non solo. Le più importanti antologie gli dedicano capitoli e intere sezioni. Settembrini, lo studioso austero, il grecista immacolato, l’eroe risorgimentale, lo specchiato padre della Patria.
Un ritratto importante, statuario nel vero senso della parola, quello che la critica gli ha cucito addosso. Ma sarà anche vero? Sì e no. Nel senso che nella sua biografia manca un pezzo, piccolo ma importante, che per dovere di completezza avrebbe dovuto essere considerato. Avrebbe dovuto. Perché in diversi, Luigi Settembrini per primo, hanno invece cercato di nasconderlo.
Torniamo qualche anno indietro, nel carcere di San Pietro. Settembrini è da solo, imprigionato come nemico del Regno borbonico, e sa che non rivedrà più la libertà. In cella, a tenergli compagnia, ci sono però carta e penna, e decide di farle fruttare. E chissà, forse di confessare qualcosa a sé stesso prima di raggiungere l’Altissimo…
Ne esce una manciata di fogli manoscritti intitolati I Neoplatonici. Nella nota introduttiva che li accompagna, Settembrini informa che quella è la sua traduzione dal greco di un certo Aristeo di Megara, il vero autore dello scritto, ma questa trovata non inganna. O almeno non tutti. I filologi più stretti nella sua cerchia di amici ed ex studenti, tra cui anche Benedetto Croce, intuiscono che l’opera non è una traduzione dal greco ma un’opera letteraria dello stesso Settembrini.
Eureka? Mmh, non proprio… In un altro contesto sarebbe stata una scoperta eccezionale, ma a frenare l’entusiasmo di tutti ci pensa il manoscritto stesso. Il suo contenuto. Perché il testo è il racconto della relazione di due giovani ateniesi nella Grecia classica che sanno godere appieno dei piaceri della vita. Essi si amano e colgono ogni occasione per finire a letto insieme. Ne escogitano di ogni, senza tuttavia perdere mai la virtù né il lume della ragione. Sono filosofi del resto (Neoplatonici, per la precisione) e all’epoca funzionava così: educazione e istruzione passavano meglio attraverso il piacere. Tra uomo e uomo…
Ma non si tratta solo di un’opera gay dagli accenti piccanti, è un vero testo erotico generoso nei particolari. «È un racconto osceno sino a la metà», specifica Settembrini nell’introduzione, «ma è un’opera d’arte; e perché bella opera d’arte è tradotta in italiano».
E perché erotica e gay deliberatamente sommersa fra le altre carte della Biblioteca Nazionale di Napoli poco dopo la scomparsa dell’autore. Sepolta, destinata a perdersi per sempre. Finché nel 1937 Raffaele Cantarella, giovane filologo di gran belle speranze, non lo ritrova e quarant’anni dopo, nel 1977, a centouno anni dalla morte di Settembrini, non ne cura la prima edizione italiana.
Questa storia – che ho volutamente scelto di raccontare con piglio divertente perché divertente, in un certo senso, lo è davvero – è nota ma non così nota. I Neoplatonici tra l’altro è un libro molto breve e piacevole da leggere. L’edizione del 2001 dovrebbe ancora essere facilmente reperibile. Altrimenti ci sono le biblioteche. Che, come si è visto, sono ricche di tesori.
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