Erano dieci anni esatti che non sentivo Pierfrancesco Favino. La voce sensuale è la medesima, l’affabilità pure. È il protagonista, insieme a Kasja Smutniak, dell’esilarante commedia Moglie e marito di Simone Godano, uscita ieri nelle sale grazie a Warner Bros.
L’altro ieri ci siamo nuovamente commossi vedendo in tv Davide di Saturno Contro… Come mai sei così adorato dalla comunità gay?
Non lo so, forse perché ho sempre pensato che gli appetiti sessuali siano assolutamente liberi. Non ho paura del mio lato femminile, forse questa cosa traspare. C’è probabilmente una parte di morbidezza che viene fuori da sé.
Sei il prototipo del macho: bello, muscoloso, molto virile ma hai atteggiamenti molto sensibili: nella spassosa commedia Moglie e marito di Simone Godano non hai la protezione del travestimento e questa tua sensibilità viene fuori attraverso il tuo essere maschio. In effetti funziona perché non è una macchietta…
La mia preoccupazione principale era restituire verità agli stati d’animo. Poi c’è un aspetto di puro divertimento. Questi due, Andrea e Sofia, vivono un dramma: ciò che lo rende divertente è che ciascuno lo vive nel corpo dell’altro con evidenti equivoci che questo crea. Questa povera donna nel mio corpo aveva una serie di difficoltà oggettive che doveva in qualche modo superare. C’è un lato intelligente della sceneggiatura, un che di politicamente scorretto.
Per il ruolo di Andrea in Moglie e marito ti hanno ispirato di più le donne della tua famiglia o Kasja?
Mi hanno ispirato più le donne, il poter giocare su questo cliché e anche la mia esperienza personale. In questo momento sto passeggiando con la mia piccola di cinque anni! Ne ho un’altra di dieci anni.
Non trovi che Andrea e Sofia, in fondo, diventino una sorta di famiglia arcobaleno? Sembrano un gay e una lesbica…
Secondo me il film non è per le coppie etero, ma per le coppie in generale. Quelle sono dinamiche del quotidiano, in cui l’aspetto genitale è secondario. Essere in coppia è un lavoro. In quella scena sono manifestamente complici e sono di nuovo coppia.
Nella scena con la preside Orsetta De Rossi sembrate davvero una coppia LGBT davanti ai pregiudizi del mondo…
Una donna in ambito lavorativo ha più difficoltà, l’uomo meno. La forza del film sta nel riuscire a parlare in maniera molto più profonda di tanti aspetti.
Dove hai avuto più difficoltà nel calarti nella testa di una donna?
C’è stata grande complicità con Kasja. La maggiore difficoltà è nella scena dello scambio, dove l’assunto fantastico doveva essere credibile.
Hai dichiarato in un’intervista di aver avuto un rapporto gay da giovane ma ‘non è stata un’esperienza esaltante’…
È stata manipolata, non ho mai avuto un rapporto omosessuale e non mi vergognerei a dirlo. Se mia figlia mi dicesse che ha capito se stessa, meglio per lei. Mi hanno fatto delle avances ma non è mai successo ma non per paura, perché non scattava nulla!
Nella trasmissione Non perdiamoci di vista, anni fa, hai anche interpretato l’alieno trans Frank’n’Furter…
È stato bellissimo! Un attore non deve avere paura della sessualità: non dovrei avere più paura di interpretare un assassino o uno spacciatore? Nella scuola che sto dirigendo a Firenze, Oltrarno del Teatro Stabile della Toscana ,una delle cose che facciamo con insegnanti che arrivano da tutto il mondo è liberarsi dalle pruderies mentali. L’attore deve avere totale confidenza col proprio corpo, dietro c’è tutta la drammaturgia del mondo!
Se potessi rivivere una vita da donna, chi avresti voluto essere?
Frida Kahlo, dentro di me sono fuse armonicamente maschile e femminile. Ma anche Ingrid Bergman, o scienziate fantastiche come Margherita Hack o la poetessa Alda Merini.
Hai dichiarato di non aver ancora visto Moonlight. Sei poi riuscito a recuperarlo?
Non ancora, sto girando come una trottola! Ho avuto la fortuna di conoscere Barry Jenkins e il suo sceneggiatore (Tarell Alvin McCraney, n.d.r.) perché erano presenti agli Spirit Awards e io ero lì in quel periodo. Jenkins è una persona che mi è piaciuta moltissima.
Il cinema italiano non è in concorso a Cannes per il secondo anno consecutivo, mentre c’è in concorso il film francese gay 120 battements par minute di Robin Campillo sull’associazione antiAids Act Up. Non pensi che i film italiani facciano fatica a uscire dai confini nazionali?
Il rischio di tutti i film italiani è di guardarsi un po’ l’ombelico. Ci sono paesi più aperti di noi, le storie che raccontano hanno la capacità di essere più globali, il cinema è il frutto di una società.
L’esilarante commedia Moglie e marito potrebbe però trovare un pubblico anche fuori dall’Italia, che ne pensi?
Speriamo!
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