Nulla ci unisce e divide come Grindr.
L’app dalla mascherina gialla – fondata il 25 Marzo 2009 dalla Nearby Buddy Finder LLC – è generatrice di emozioni contrastanti, tra chi rigira le pupille degli occhi di trecentosessanta gradi al pensiero di utilizzarla, chi la odia visceralmente ma non smette di attivare e disattivarsi l’account, chi ne fa uso compulsivo, chi vive entrambe queste tre fasi a cadenza regolare, determinate da condizioni atmosferiche, noia, solitudine, periodo storico, pruriti.
Perché non possiamo farne a meno? Perché è facile.
Su Grindr è facile dare piena libertà a tutto quello che ci hanno educato ad addomesticare, in nome di un’impeccabile condotta morale o gli occhi della zia ai pranzi di famiglia: su Grindr le tue più grandi, indicibili, disgustose e ridicole fantasie possono disperdersi a briglia sciolta perché è molto probabile che anche qualcun altro lì sopra ha voglia di esternarle. È facile perché se il sesso per voi è anche occasionale e rapido e improvvisato – e non volete investire energie in una conversazione fatta di convenevoli e nemmeno offrire da bere ad uno sconosciuto – potete farlo.
Anche per questo Grindr è considerata mercato del pesce, bancone degli affettati, il posto dove tutti vogliono solo scopare. Come se voler solo scopare sia diventato un male da estirpare o un’esigenza da tenere a bada, per garantirci quell’imborghesimento fondamentale in società. Archiviando bigottismi da madre badessa, su Grindr c’è anche spazio anche per chi preferisce parlare prima di togliersi le mutande. Come ogni dating app, è tutto un gioco di casualità, fiuto, e coincidenze.
Ma cercare e trovare sesso in maniera comoda e veloce, ha i suoi effetti collaterali: Grindr, consciamente o meno, alimenta quel processo psicologico chiamato programma a intervalli variabili di rinforzo, ovvero quando una risposta viene premiata dopo una variabilità temporale imprevedibile. Cercando di essere più chiari: potremmo riuscire a scopare immediatamente oppure dopo un’ora, due, tre, quattro, o una giornata intera. Questo amplifica la nostra dipendenza dall’app, ritrovandoci ad utilizzarla compulsivamente pur di ottenere la risposta che vogliamo. Proprio perché quello che vogliamo dipende da circostanze casuali e variabilissime, che pensiamo di poter controllare solo monitorando ossessivamente la chat. Un po’ come chi non riesce a staccarsi dalle slot machine o i gratta e vinci, perché potresti farcela in ogni momento oppure mai.
È appurato che l’uso bulimico di qualunque cosa ci fa male, fuori o dentro le dating apps. Ma stare compulsivamente su Grindr genera uno stress specifico: se è vero che possiamo spogliarci e vivere la nostra sessualità senza restrizioni morali, la rassegna dei corpi nasconde il suo lato più ostile. Ci abitua al confronto costante, a guardarci con gli occhi dell’altro, attraverso specifici standard, e ogni micro o gigante insicurezza sul nostro fisico o apparenza viene stuzzicata e risvegliata.
In un articolo per Voxx del 2018, lo psichiatra Jack Turban ha riscontrato che per alcuni utenti il fascino di Grindr non è l’urgenza di divertirsi, quanto smettere di stare male. “Gli utenti mi hanno raccontato che entravano sull’app quando si sentivano tristi, angosciati, o soli.” scrive Turban: “Grindr può allontanare queste sensazioni. L’attenzione o la potenzialità del sesso ci distrae da emozioni dolorose“. Nella ricerca di Turban, il 50% degli uomini gay soffre o ha sofferto di depressione, e stando alle statistiche dell’associazione Time Well Spent, il 77% degli utenti si pente di utilizzarla.
Mettici anche tutta quella questione della mascolinità tossica, della feticizzazione dei corpi, dell’essere troppo in carne o troppo magri, e per carità, niente effemminati. Non si capisce più se è gusto personale o retaggio culturale, ma quel che è certo è che non ci si diverte più così tanto.
A coronare una reputazione già di per sé precaria, nel 2020 il Norwegian Consumer Council ha rivelato che Grindr, sin dal 2018 permetterebbe a più di 100 società terze di accedere ai nostri dati GPS, indirizzo IP, identità di genere e orientamento sessuale, includendo anche dati come lo stato di sieropositività o la data degli ultimi test effettuati, con l’obiettivo di migliorare gli annunci pubblicitari.
Eppure, ampia parte di noi, su Grindr ci rimane.
È il guilty pleasure che ci stuzzica le mutande, annoia da morire, fa incazzare come una iena ma resta ancora sullo smartphone.
Ha tutta una serie di problemi non sufficienti per sbarazzarcene. Forse perché anche noi ci portiamo dietro la nostra piccola dose di controversie, e non basta riversare dentro un’app d’incontri ogni male del mondo.
Le abitudini sono dure a morire, insieme alle nostre insicurezze.
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Troppo difficile mettere anche l'opzione "Non uso GRINDR"???