Per il Milano Pride indosso per la prima volta una minigonna.
Mi rendo conto, nel grande schema è solo una minigonna. Ma quando ce l’ho addosso mi sale un’euforia tutta mia, come se fossi la prima creatura al mondo a farlo. La psicoterapeuta ha detto solo: “Provi a divertirsi. Provi a farlo in un contesto sicuro“. Questo sabato fa troppo caldo per manifestare per i propri diritti, ma mentre mi dirigo alla Stazione Centrale – dalla strada alla metropolitana intasata – ne vedo sempre di più di persone come me, troppo entusiaste per preoccuparsi del sole che picchia in fronte come un fono elettrico.
Ogni anno non vedo l’ora che arrivi il Pride, ma ogni volta mi chiedo: per cosa di preciso? Per ribadire l’ovvio, per reclamare qualcosa che dovrei avere di default, in quanto essere umano? Ma quest’anno indosso una minigonna appena sopra le cosce e mi sento la creatura più sfrontata, sbarazzina e irriverente dell’universo. Una roba che quindici anni fa avremmo soppresso con vergogna e un segno di riverenza ai miei bulli, ma oggi eccomi qui a fare la cretina in mezzo una folla infuocata. Sotto l’afa del 2 Luglio, per un giorno ci sentiamo protettə. Al Pride abbassiamo le difese: ci spogliamo di ogni bugia, di ogni bigottismo disegnato addosso, ci liberiamo sull’asfalto cocente e diventiamo finalmente screanzatə agli occhi della città. Ogni anno la stessa scena: la valanga di persone, il segnale che non prende, lə amichə che si perdono e non lə ritrovi più. Qualcunə si lamenta: “Ma si può fare alle 14 del 2 Luglio una parata?” Screanzatə, sì, ma anche provatə.
Quando parte la marcia le lamentele si confondono sotto il volume della musica di mille carri diversi. Ogni passo è una danza aperta a tuttə: gen Z, millennial, padri e padri, madri e madri, anzianə, bambinə di quattro anni altə quanto i trampoli delle drag che camminano al loro fianco.
Il viaggio verso l’Arco della Pace diventa anche un’occasione per percorrere ogni contraddizione del Milano Pride: cinque minuti prima ti ritrovi a ballare affianco il carro di Amazon, cinque minuti dopo vai a ritmo con il carro del centro sociale, che scarica un’invettiva contro le multinazionali: rainbow washing, queerbaiting, capitalizzazione dei valori. Il Milano Pride 2022 riesce ad essere l’apoteosi di tutto questo e al contempo l’esatto contrario, con due mondi opposti che marciano a pochi chilometri di distanza. All’altezza di Parco Sempione, parte l’invettiva al megafono anche contro il carro della Coca Cola: mi unisco anche io, gridando ANTICAPITALISTA! insieme alla folla, ancheggiando su Gimme Gimme Gimme degl ABBA, fino a strisciare dentro qualche bar e bere qualcosa di fresco prima della disidratazione completa: ho troppa sete, chiedo una Coca Cola. Scusate.
Arriviamo all’Arco della Pace, con i discorsi degli attivisti che riecheggiano dal palco e la voglia di spalmarsi sul prato: fanno male le gambe, ma c’è sempre tempo per un’esplosione di musica dietro l’angolo e improvvisare un altro balletto, tanto che, al crepuscolo, potremmo iniziare quasi a darlo per scontato: potremmo abituarci a così tanta sfrontatezza agli occhi del mondo, senza nemmeno per un secondo chiedere il permesso o preoccuparci degli sguardi indiscreti. Siamo così tantə che perdiamo il conto, finiamo per confonderci, e tutto questo ci disorienta, diverte, e rincoglionisce nel migliore dei modi. Il Pride Month è finito da più di quarantotto ore, ma il Milano Pride – in tutta la sua mastodonticità, incoerenza e caoticità – è il bonus finale, un ulteriore reminder che possiamo continuare a farlo anche dopo Giugno.
Quando ritorno a casa alle quattro del mattino, la musica si spegne e mi rendo conto che fuori dal Pride la mia banalissima minigonna porta con sé tutta una serie di implicazioni: mi suonano il clacson, i maschi mi squadrano e commentano ad alta voce, parte qualche fischio. È come varcare un’altra dimensione, ma le strade sono sempre le stesse che ho percorso prima. Buongiorno e buonanotte, casco dal pero ricordandomi che essere me può diventare pericoloso e ribadire l’ovvio è più urgente che mai. Per la prima volta in ventiquattro ore mi spavento, ma da una parte all’altra del marciapiede le incrocio ancora: altre creature della notte, che, cosparse di glitter, tornano a casa tra sguardi sgradevoli. Quando le intravedo qualche decina di metri più in là, mi sento di nuovo screanzata e passa la paura. Mi rendo conto che è possibile: un posto dove divertirmi e sentirmi al sicuro.
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