Non sempre il “dottor sottile”, soprannome che il giornalista Eugenio Scalfari attribuì negli anni ottanta a Giuliano Amato, fu poi così sottile. Nel 2000, ad esempio, mentre era presidente del Consiglio ebbe a pronunciare alla Camera dei Deputati una frase infelice che fece andare su tutte le furie le associazioni gay. Era l’anno in cui a Roma si celebrava il Giubileo e non solo. La Capitale d’Italia – è bene ribadirlo, d’Italia – venne scelta come città ospite del World Pride, un evento mondiale, appunto, che ebbe la forza di attrarre 500 mila persone (c’è chi disse un milione) e che sui temi gay fu in grado di accendere per la prima volta una luce tale che nulla fu più come prima.
Le polemiche per aver scelto Roma e l'”anno santo” piovvero sul comitato organizzatore, accusato di voler provocare il Vaticano, per mesi e raggiunsero l’apice quando Giuliano Amato, nel rispondere a un’interrogazione di Alleanza Nazionale (partito guidato da un Gianfranco Fini ancora intransigente perfino sull’esistenza di maestri non eterosessuali), ricordò che in base all’articolo 17, la Costituzione sancisce il diritto a manifestare pacificamente. E fin qui… Sennonché aggiunse di giudicare “inopportuna” la parata in coincidenza del Giubileo. “Purtroppo – chiosò – dobbiamo adattarci a una situazione nella quale vi è una Costituzione che ci impone vincoli e costituisce diritti”. Quella stessa Costituzione, che l’Italia rischia di vedere garantita dal dottor sottile nel caso della sua elezione al Quirinale. Un’ipotesi, oggi, tutt’altro che remota.
di Daniele Nardini
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