“Inappropriata in contesti istituzionali”: così la bandiera Rainbow viene nuovamente bandita dalle sedi ufficiali del governo statunitense – tra cui le ambasciate –, come clausola di un accordo di spesa da 1,2 trilioni di dollari approvato dalla Casa Bianca.
Saranno permesse solo bandiere “ufficiali”: quella POW/MIA, che onora i prigionieri di guerra e i militari dispersi in azione; le rappresentative dei governi tribali indigeni, le bandiere nazionali di altri paesi, le insegne delle varie agenzie federali americane e la bandiera degli ostaggi e dei detenuti illeciti.
Uno sviluppo che segna un sottile, ma preoccupante cambio di rotta rispetto alle politiche precedenti, in particolare quelle dell’amministrazione Biden, che aveva ripristinato la possibilità di sventolare le bandiere del Pride nelle sedi governative statunitensi all’estero, revocando una restrizione imposta durante l’amministrazione Trump nel 2021.
La disposizione fa parte di un più ampio disegno di legge di finanziamento governativo volto ad assicurare il funzionamento continuo dell’amministrazione federale degli Stati Uniti e, in particolare, del Dipartimento della Difesa fino alla fine dell’anno fiscale.
E, a quanto pare, sarebbe stato proprio quest’ultimo a chiedere il reinstauro delle regolamentazioni anti-Pride Flag, emblema di una polarizzazione politica crescente attorno a simboli culturali appartenenti a minoranze – sessuali e non.
Mentre il presidente della Camera Mike Johnson definisce la disposizione – già adottata a livello federale da alcuni stati repubblicani tra cui il Connecticut e il Michigan – una “vittoria conservatrice”, evidenziando la preminenza della bandiera americana come unico simbolo dei valori nazionali, la contro-narrativa di attivist* e difensor* dei diritti umani sottolinea invece l’importanza dei simboli nella promozione della diversità e dell’inclusività come valori fondamentali della società americana.
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