Egitto, AIDS e omosessualità: intervista a Khaled Abol Naga, attore e presentatore egiziano

Abbiamo incontrato Khaled Abol Naga, attore egiziano, alla Conferenza Mondiale sull’AIDS in corso a Città del Messico. Ci ha raccontato cosa significa parlare di AIDS, sesso e gay nel suo paese.

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Khaled Abol Naga, 42 anni, anche se ne dimostra dieci di meno, è una delle nuove star dell’Egitto e del Medio Oriente. Conduttore e attore, è diventato recentemente ambasciatore dell’UNICEF. Lo abbiamo incontrato alla Conferenza Mondiale sull’AIDS a Città del Messico dove ha presentato il suo lavoro di testimonial per lo Youth-Peer Network, una rete di gruppi che lavora per l’informazione e la prevenzione dell’HIV/AIDS in 39 paesi.

Khaled ha sospeso le riprese del film a cui stava girando per poter essere presente durante tutti i sei giorni della conferenza.
Come hai deciso di impegnarti nella lotta all’AIDS/HIV?
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Sono stato contattato dal gruppo di Youth-Peer che mi ha proposto di partecipare ad una loro attività. Ho detto: Perché no? E sono andato. Ho passato due ore in una stanza con 20 persone, tutte sieropositive. La stampa non c’era, eravamo solo io e loro e mi hanno parlato, raccontandomi le loro storie. Non me l’aspettavo, mi è servito per capire, per capire davvero, e quell’incontro mi ha cambiato profundamente. Da allora non faccio solo da testimonial, ma faccio attivamente informazione sulla prevenzione.

Fino all’anno scorso hai condotto un tuo programma in TV e sei una star del cinema, di certo puoi raggiungere un grande pubblico, ma si può parlare di sesso e di preservativi in Egitto?
C’è questo mito da sfatare per cui non si può fare informazione e prevenzione in Egitto o nei paesi nel Medio Oriente. L’informazione è come una maglietta da indossare: la stessa taglia non va bene a tutti e bisogna trovare la chiave giusta, ma si può assolutamente fare. Ad esempio nel mio programa che è comico parlavo di profilattici, bastava farlo in una chiave che fosse più giocosa, ad esempio facevo varie voci imitando come la gente parla dei profilattici. Però il messaggio alla fine era “se usi il preservativo puoi salvare delle vite”, e questo lo sentivano i ragazzi e le famiglie a casa.
Ma si può parlare di sesso in TV?
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Il sesso in generale è ancora un tabù, ma le cose possono cambiare all’istante se si parla onestamente e partendo dall’esperienza reale della gente. L’ho fatto nel mio film Sahar El Layali (Sleepless Nights) dove interpretavo un personaggio che aveva problemi sessuali con la moglie – una cosa molto comune ma di cui è tabù parlare – eppure il film ha avuto grande successo. Allo stesso modo parlando di prevenzione e condom nel mio programa partivo da quella che era l’esperienza di molte persone.

Un altro tabù è parlare di gay e lesbiche, pensi che qualcosa stia cambiando?
Credo che manchi soprattutto la volontà politica per migliorare la situazione per lesbiche e gay. In Egitto non ci sono leggi contro l’omosessualità, ma di certo c’è violenza e persecuzione. Se ci fosse la volontà política il governo dovrebbe mettere fine alle persecuzioni, ma non c’è, come non c’è la volontà politica di fare prevenzione su HIV/AIDS. Oggi siamo un paese a basso impatto della malattia, ma le cose stanno cambiando e senza un sostegno del governo sarà difficile farcela da soli.
Ma come si può cercare superare lo stigma sociale dell’omosesusalità se non se ne può parlare?
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Parlarne così è difícile, m aquello che cerchiamo di fare è di parlarne come parte della società. Ad esempio quando parliamo di prevenzione si dice “se un uomo fa sesso con una donna o se fa sesso con un altro uomo” e così si introduce il tema. Ma la verità è che non c’è al momento una vera e propia strategia e andrebbe costruita quella.

In Italia ci sono moltissime celebrità, attori, cantante e così via che sono gay. Alcuni lo dicono, altri no, ma un po’ si sa e comunque nell’ambiente dello show business lo sanno tutti. È così anche in Egitto?
Direi che non ci sono differenze, anche se qui non ci sono celebrità dichiarate. Sta ad ogni persona decidere se fare coming out o meno, anche se per alcuni è una cos ache « si sa » ma non si può veramente dire. Ma patradossalmente un pochino anche questo può aiutare, perché arrivano nelle case, i giovani li vedono e capiscono che si può essere di successo anche se si è gay. Poi non ne parlano magari con i genitori, ma lo vedono in TV. Le nuove generazioni hanno molte più possibilità, anche grazie ad internet, ed il futuro per loro si presenta molto migliore che in passato.
Ci sono molti immigrati del Medio Oriente e del Maghreb in Italia, alcuni sono gay e lesbiche, altre magari non si definiscono omosessuali, ma la possibilità di vivere più liberamente la propia identità ha avuto un peso nella loro scelta di trasferirsi. Vuoi dire loro qualcosa?
Non sono contro a nessuno che prende una decisione su dove vuole vivere, magari una decisione anche lacerante perché ci si stacca dai propri affetti. Se qualcuno si sente minacciato è ok che cerchi di andare a stare dove può essere se stesso. Però è anche vero che niente cambierà mai se tutti scappano. È vero che magari può essere molto difficile, a volte troppo difficile, restare, ma se ve ne andate e avete successo all’estero, poi riportatelo a casa, o anche senza tornare, portate le vostre storie di successo, su come è possibile riuscire ed esser efelici anche se si è gay o se si è sieropositivi. Anche questo è fondamentale per cambiare le cose.
 

di Riccardo Gottardi

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