Dopo il suo bla, bla, bla pronunciato lo scorso 28 settembre a Milano, Greta Thunberg torna a tuonare conto i leader mondiali dalle pagine del The Guardian .
Secondo l’attivista il Cop26, vertice Onu sul clima previsto a Glasgow il prossimo 31 ottobre, è a rischio fallimento. Le motivazioni sono molteplici, ma una, chiara e lampante è che “un vero leader per il clima non esiste“. Così Thunberg, con la sua solita schiettezza, sintetizza l’inettitudine dei Paesi del G20.
Ad essere scoraggianti sono le analisi dell’annuale Climate Transparency Report. Tale resoconto prende in considerazione i soli Paesi del G20, responsabili di più del 75% delle emissioni globali.
Per la fine del 2021 si prevede un aumento della produzione di gas serra del 4%, contro un benefico calo durante il 2020 del 6%, dovuto essenzialmente alla pandemia e alla paralisi globale che ha trascinato con sé. Con la ripresa a pieno regime della produzione tutto è tornato com’era.
Tra un paio di settimane si terrà, nella blindatissima Roma, il prossimo G20 e al centro della discussione, come sempre, ci sarà anche la crisi climatica. Ma i leader mondiali, mai come ora, appaiono in disaccordo sulla strada da prendere e sull’urgenza di questo tema. Secondo gli accordi di Parigi di sei anni fa, la soglia promessa era un aumento massimo di +1,5 gradi entro il 2050, ma stando all’attuale situazione, il limite sarà più che abbattuto. Più di 47 Paesi non hanno presentato i previsti piani sul proprio cambio di rotta sostenibile. La Cina non vuole ridurre le emissioni entro il 2030. La Russia e l’India non inseriscono tra le proprie priorità la crisi climatica. Inoltre, non è stato versato nemmeno un centesimo dei 100 miliardi di dollari promessi ai Paesi più poveri, per la rivoluzione tecnologica e lo sviluppo di un’economia sostenibile. L’Italia, stando alle statistiche, sembra essere in vantaggio sugli altri Stati riguardo ai traguardi prefissati, ma comunque resta troppo poco lo sforzo messo in atto.
A destare enorme preoccupazione sono i circa 32mila documenti riservati che ieri la BBC ha svelato in esclusiva. Paesi come Giappone, Arabia Saudita, Australia e Brasile starebbero provando a minimizzare sull’urgenza di abbandonare l’uso del fossile per poter continuare a utilizzare carbone, petrolio e gas.
Queste reazioni nascono dal resoconto del IPCC (il Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) che ha messo in guardia sulla disastrosa condizione del nostro Pianeta. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha definito il rapporto un “codice rosso” per l’umanità, “siamo sull’orlo del baratro“.
Il tentativo di sabotare la rivoluzione climatica arriva proprio dai Paesi sudamericani – maggiori produttori di carne – e dall’Arabia Saudita, la più grande esportatrice di petrolio al mondo. La rovina del nostro Pianeta procede sempre più velocemente e il resto del globo, in particolare le Nazioni del G20, resta a guardare, timido e compiacente.
Foto in apertura per gentile concessione di Louis Maniquet (Unsplash)
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