CRUDELI E FELICI

A Lione una mostra fotografica dedicata al viaggio in Afghanistan di Annemarie Schwarzerbach e Ella Maillart, amanti tempestose e infaticabili viaggiatrici.

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LIONE – Chi ha visto e apprezzato "Die Reise nach Kafiristan" (Viaggio in Kafiristan), il film di Donatello e Fosco Dubini riproposto anche all’ultimo Festival Internazionale del Cinema GayLesbico, e per caso si trova in questi giorni a passeggiare in territorio francese, non può perdersela: ma deve affrettarsi, perché ha tempo ancora fino al 17 agosto.

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È la mostra "La voie cruelle, la voie heureuse" ("La via crudele, la via felice") allestita dalla biblioteca della Part-Dieu a Lione: una raccolta di fotografie scattate durante i viaggi di Annemarie Schwanzerbach, Ella Maillart e Nicolas Bouvier in Afghanistan.

La vera novità è che per la prima volta vengono presentati contemporaneamente i lavori di tutti e tre questi grandi viaggiatori svizzeri, anche perché finora le opere della Schwarzenbach non erano mai apparse con tale ampiezza.

Il titolo della mostra è ispirato a un libro scritto dalla Maillart dopo la morte della compagna, The Cruel Way, che alludeva alle condizioni fisiche e psichiche della Schwarzenbach, alla relazione spesso tempestosa fra queste due donne così diverse, ma anche alla situazione politicamente incerta dell’epoca. Annemarie Schwarzenbach, resa vulnerabile dalla sua tossicomania, finì per rappresentare in questo libro il simbolo stesso di un’Europa politicamente e moralmente dilaniata, alla quale Ella Maillart cercava di sfuggire: "Il viaggio nel mondo oggettivo non riusciva più ad appassionarmi interamente. Perché il mondo è meno reale di quel che attiva la nostra vita interiore. Stavolta, la battaglia che si combatteva nella mia compagna era così straziante che i miei pensieri ne erano tutti impregnati".

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Per chi non avesse visto il film, due parole sul viaggio di Annemarie Schwarzenbach e Ella Maillart: nel 1939 le due, entrambe scrittrici, giornaliste e fotografe, raggiungono l’Afghanistan in Ford attraversando Balcani, Turchia e Iran. Sono le prime donne ad affrontare la cosiddetta "strada del nord" che passa per Herat. Lo scoppio della seconda guerra mondiale le sorprende in Afghanistan. Diversamente dalla Maillart, la Schwarzenbach, forse tra le due il personaggio più affascinante, con la sua potente androginia, la lotta contro la dipendenza dalla morfina e una personalità tormentata che l’aveva spinta in passato anche a tentare il suicidio, non se la sente di ignorare la guerra e di condurre una vita di meditazione in India, e all’inizio del 1940 torna in Svizzera.

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Nicolas Bouvier, scrittore e fotografo, è il terzo elemento della mostra: nel 1953/54 si recò anch’egli in Afghanistan, su una Fiat Topolino, con il pittore Thierry Vernet. E sebbene le ragioni che lo spinsero a intraprendere il viaggio fossero diverse da quelle che avevano spinto Annemarie Schwarzenbach e Ella Maillart, Bouvier si rendeva conto che, in un certo senso, stava seguendo le tracce delle due donne: "Tutte le immagini di questa Via crudele – scrisse – mi toccano e mi parlano. Quasi a ciascuna di esse posso aggiungere un suono, un odore, un colore, un volto".

Le fotografie, splendide anche se in bianco e nero, rappresentano frammenti di Balcani, Turchia, Iran, Afghanistan e India e sono accompagnate da estratti di testi, in francese e in tedesco, che i tre hanno scritto nel corso dei loro viaggi, e che arricchiscono le immagini in maniera sorprendente, quasi aggiungendo la terza dimensione mancante alla fotografia.

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Al centro della sala dove si tiene la mostra, inoltre, sono esposti altri documenti, come libri, manoscritti, lettere e articoli, mentre all’ingresso un video racconta, tra l’altro, la storia di Annemarie Schwarzenbach, la giovane aristocratica dall’aspetto mascolino e dall’animo tormentato che, dopo aver lottato con la morfina, con la sua fragilità, dopo aver scoperto "un panorama magnifico, una successione di catene montuose, un mare di monti bruni e brulli, un paesaggio asiatico, l’immensità asiatica", fu tradita a 34 anni da una normalissima, banale bicicletta che pensava di poter domare guidandola senza mani.

di Selene Verri

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