Si intitolerà Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere, il tema della 60. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, in esposizione alla Biennale dal 20 aprile al 24 novembre 2024.
Ad introdurla sono stati questo mercoledì il presidente uscente della Fondazione, Roberto Cicutto, e il curatore artistico della nuova edizione, Adriano Pedrosa, primo direttore artistico della Biennale Arte sud-americano e dichiaratamente queer.
Un’edizione che si pone – nelle parole di Cocciuto – come un “osservatorio privilegiato sullo stato del mondo attraverso l’arte e la cultura”, e dove la parola ‘straniero’ ha un significato più grande di quello che solitamente pensiamo.
Lo stesso titolo dell’esposizione trae direttamente ispirazione da alcune sculture al neon realizzate nel 2004 dal collettivo Claire Fontaine, che riportavano tutte le parole ‘stranieri ovunque’, scritte in lingue diverse. La frase è stata ripresa successivamente anche da un collettivo torinese per battersi contro xenofobia e razzismo in Italia. Come spiega Pedrosa, ovunque andremo incontreremo e saremo stranieri: “Sono/siamo dappertutto” dice il curatore “A prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri”. Termine che per Pedrosa ha un’importanza specifica a Venezia: città di profughi romani, punto punto di ritrovo per snodi mercantili, con oltre 50.000 abitanti (ma anche 160.000 con la presenza dei turisti).
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Un’edizione che accoglierà 332 artisti, 30 eventi collaterali, e 90 paesi di cui 4 per la prima volta alla Biennale: Repubblica del Benin, Etiopia, Repubblica Democratica di Timor Leste e Repubblica Unita della Tanzania.
La mostra si articolerà in due sezioni: il Nucleo Contemporaneo che accoglierà artisti stranieri, immigrati, espatriati, diasporici, émigrés, esiliati e rifugiati’ tra cui anche artisti queer, che avranno una sezione dedicata nelle Corderie e un’altra nel Padiglione Centrale, outsider che rimangono “ai margini del mondo dell’arte” insieme all’artista autodidatta e folk, e gli artisti indigeni con un murale esposto nel Padiglione Centrale realizzato da Mahku, collettivo brasiliano, fino all’installazione nelle Corderie del collettivo Maataho, provenienti direttamente da Aotearo e Nuova Zelanda.
Il Nucleo Contemporaneo avrà anche una sezione speciale intitolata Disobedience Archive, progetto di Marco Scotini che riflette sulla relazione tra arte e attivismo, che vedrà la partecipazione di Juliana Ziebell, che ha lavorato anche all’architettura dell’Esposizione Internazionale, divisa nelle due sezioni Attivismo della diaspora e Disobbedienza di genere.
La seconda sezione, il Nucleo Storico, invece accoglierà opere del XX secolo provenienti da America Latina, Africa, Asia e mondo arabo, in tre sale divise per tema: la sala dei Ritratti – che “rifletterà sulla crisi della rappresentazione dell’umano che ha caratterizzato gran parte dell’arte del XX secolo” con le opere di oltre 112 artisti, comprese tra il 1905 e il 1990– la sala delle Astrazioni – che accoglierà artisti indigeni Maori come Selwyn Wilson e Sandy Adsett – e la sala dedicata alla diaspora artistica italiana nel mondo, con 40 opere di 37 artisti di prima o seconda generazione.
Sono stati due i leitmotiv della selezione: “Il primo è il tessile, esplorato da molti artisti coinvolti, a partire da figure chiave nel Nucleo Storico, fino a molti autori presenti nel Nucleo Contemporaneo” spiega Pedrosa “Un secondo elemento è rappresentato dagli artisti – molti dei quali indigeni – legati da vincoli di sangue. Anche in questo caso la tradizione gioca un ruolo importante: la trasmissione di conoscenze e pratiche da padre o madre a figlio o figlia oppure tra fratelli e parenti”.
Come dice Pedrosa in un’intervista con Artribune, questa edizione è un ulteriore step in avanti per la Biennale, sempre più pronta ad aprirsi a nuove storie e voci che non siano esclusivamente occidentali. Accogliendo una prospettiva intersezionale e stratificata, che guarda al futuro senza dimenticare quel passato ‘largamente ignorato’: “Spero solo che possano essere un’occasione di apprendimento e apertura a nuovi modi di pensare l’arte”.
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