Dimitri Cocciuti: “Dopo un coming out disastroso ho scritto un romanzo”

"Per un adolescente il coming out è una liberazione, mentre per i genitori può essere un grande dolore, soprattutto se non sono così addentrati in certe dinamiche".

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Giovanni è un medico affermato, un uomo sposato e un essere umano tremendamente condizionato dalle scelte imposte dalla sua famiglia. Antonella, sua moglie, è una donna che vive alla continua ricerca della perfezione, pensando così di poter fuggire dalla consapevolezza di un matrimonio che non la rende felice.

Alessio, in una calda estate di sedici anni prima ha trovato in Giovanni l’amore, mentre nel presente ne conserva solo l’amaro ricordo. Una sola sera basterà a stravolgere due esistenze e porterà, ai tre protagonisti, un nuovo stato di coscienza e la consapevolezza che il dolore possa essere l’unico mezzo per rimettere Ogni cosa suo posto. Questa la sinossi del primo romanzo a tinte arcobaleno dell’autore televisivo Dimitri Cocciuti, che approda in tutte le librerie digitali e non, raccontando una storia attuale fatta di amore, rinunce e coraggio.

Quanto c’è di autobiografico in questa tua opera prima?

Tantissimo. Credo che quando si scriva una storia, inevitabilmente, ci si metta un po’ del proprio vissuto.

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Caratterialmente pensi di sentirti più simile a Giovanni, o ad Alessio?

A dire il vero, credo di aver messo una parte di me in ognuno dei tre protagonisti. Senza dubbio Alessio è quello che mi somiglia un po’ di più. Lo tsunami emotivo vissuto da lui e da Giovanni è molto simile ad un qualcosa che ho vissuto, di recente, sulla mia pelle. In fondo chi non si è mai scontrato con quell’ondata emotiva che con la stessa velocità con cui arriva, poi, se ne va?

C’è un motivo specifico per la scelta dei nomi?

Giovanni era il nome di mio nonno, Alessio, invece, è il nome del primo ragazzo che mi è piaciuto ai tempi del liceo. 

E Antonella?

Antonella non ha nessun riferimento in particolare con la mia vita privata. 

Perché la scelta di ambientare il romanzo nei primi anni del 2000?

Perché i primi anni del 2000 sono quelli meno sputtanati. Perché quegli anni mi ricordano la mia prima storia d’amore e poi perché sono anni che hanno, e avranno, molto da raccontare.

I due protagonisti si conoscono in una chat gay. Per il mondo LGBT sono ancora così importanti le varie App d’incontri?

Sì, o quantomeno in parte. Le chat, ancora oggi, rappresentano sicuramente il metodo più veloce per conoscere qualcuno, anche se poi vorrei vedere quanti si incontrano davvero, ma questa è un’altra storia. Oggi, Grindr, sembra più un’App nata per far vedere quanta gente c’è intorno a noi, che altro. Anche se poi, ripensandoci, tutti i miei ex li ho conosciuti in chat. 

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Esistono ancora oggi persone che pur di non affrontare la verità, preferiscono vivere nell’inganno? 

Altroché! Molto di più di quanto si possa immaginare. Molte persone, ancora oggi, tendono a vivere una vita piena zeppa di compromessi, rifiutando l’autenticità. Il contesto sociale in primis, plasma le nostre decisioni. Sembra un discorso folle, ma credimi: se ci pensi bene, non lo è. 

Quando Giovanni fa coming out con sua madre il rapporto tra loro prende una piega sbagliata. Perché la scelta di mandare al lettore un messaggio così duro?

Perché ho voluto raccontare lo specchio della realtà italiana. Quante persone, ancora oggi, non sono risolti come Alessio?

Tu lo ricordi il tuo coming out?

Sì, e fu davvero disastroso. La mia salvezza, ai tempi, e forse ancora oggi, fu il fregarmene dell’opinione pubblica. Il coming out lo feci nell’oramai lontano 2003. I miei non la presero così bene, anzi.

Per chi fu maggiore lo shock: mamma o papà?

Per mamma! Oggi, invece, è la prima a scendere in piazza per i diritti lgbtq. Però, col senno di poi, comprendo la loro reazione di allora. Per un adolescente il coming out è una liberazione, mentre per i genitori può essere un grande dolore, soprattutto se non sono così addentrati in certe dinamiche. Non dobbiamo mai dimenticarci da quale contesto sociale vengono e poi, oggi son passati quasi vent’anni dalla mia rivelazione e spero, anche se non ne sono così convinto, che le reazioni generali siano cambiate. 

Hai mai vissuto episodi di omofobia?

No, ma magari ce ne sono anche stati, ma per via del mio atteggiamento positivo, non me ne sono neanche accorto.

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L’amore, Dimitri, tra due persone dello stesso sesso può durare davvero per sempre?

Sì, perché non dovrebbe? La variabile dell’orientamento sessuale, secondo me, non è affatto una variabile, anzi.

E quando accusano i gay di essere promiscui?

Cliché. Meri cliché. I gay hanno la nomea, mentre gli altri fanno i fatti.

Piuttosto, perché uno come te sceglie di auto prodursi e di non farsi appoggiare da una casa editrice?

Sembrerà una banalità, ma volevo seguire in prima persona il progetto in tutta la sua interezza! Mai e poi mai, avrei voluto che qualcuno mettesse mano alle mie parole e alle mie emozioni.

Quando dicono che in giro ci sono più scrittori, che lettori, cosa pensi?

Forse è vero, ma in questo caso specifico sappi che io non mi ritengo uno scrittore, piuttosto un autore televisivo, prestato alla scrittura. In questo romanzo ho fatto tutto quello che uno scrittore medio non farebbe mai…

Tipo?

Ho usato la terza persona, ho portato il mio mondo televisivo nel romanzo ed ho usato un linguaggio molto pop e, magari, poco usuale. La mia è stata anche una scrittura per immagini: ho voluto raccontare una Roma decisamente inedita e poco conosciuta. 

Ci pensi mai ad un seguito?

Me lo chiedono in molti. Intanto mi godo le vendite e il successo del romanzo, poi chi vivrà vedrà. Mi hanno proposto un musical, ma se proprio devo puntare in alto, preferirei che venisse utilizzato per un film. 

Photo: Simone Arrighi.

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