È stata pubblicata su Indipendent la singolare e toccante testimonianza di Amrou Al-Kadhi, drag queen cresciuta nel Bahrain e a Dubai.
Nel suo articolo di ricordi e riflessioni, Amrou ha parlato innanzitutto di come la sua curiosità queer si fosse manifestata già durante l’infanzia: “Quando avevo otto anni ed era già passata l’ora di andare a dormire, spiavo affascinata la mia mamma di origini iracheno-egiziane: la costruzione meticolosa della sua intrigante maschera sociale mi attraeva, così come il suo modo di conversare e trattare gli ospiti come una danzatrice, una performer”.
L’infanzia a Bahrain e Dubai, piena di parenti, amore e vita familiare, è stata interrotta nel momento in cui la sessualità è diventata per lei un tema importante. Le aspettative dei suoi genitori erano che lei diventasse un bravo uomo musulmano. L’educazione religiosa fu traumatica: “Immaginavo l’inferno, dove ogni comportamento alternativo o anticonformista sarebbe stato brutalmente punito. Per tutta l’adolescenza ho fatto sogni tremendi. (…) I miei genitori, musulmani e iracheni, erano fissato col dovermi proteggere dall’inferno: mi punirono quando scoprirono che avevo comprato il DVD di Brokeback Mountain e buttarono via i miei vestiti che consideravano da femmina“.
Ora Amrou Al-Kadhi ha 26 anni ed è una drag queen professionista. Dopo quello che fu un coming out traumatico ha lasciato la casa dei suoi genitori: aveva 18 anni allora.
È a Cambridge che ha iniziato a esibirsi come drag, mettendo in piedi anche il suo gruppo di performer drag, le Denim: “Il senso di liberazione che ho sperimentato è stato un passaggio profondamente emozionante per me. All’inizio ho vissuto l’essere drag come la mia via di fuga. Un modo per trasgredire, per andare contro tutto ciò che mi era stato insegnato, un atto di autodeterminazione”.
Ma sotto, sotto, qualcosa mancava. Racconta che dietro a quell’armatura drag ancora molte erano le questioni irrisolte. Proprio il fatto di essersi sentita libera e indipendente nella sua fuga dal contesto familiare l’ha portata a sperimentare più intensamente poi il disagio e la vergogna del doversi nascondere, ad esempio quando tornava a far visita alla sua famiglia.
Il disagio è rimasto fino a quando non ha incontrato Amnah Hafez, sylist e caporedattrice di Cause & Effect magazine, originaria dell’Arabia Saudita: “Attraverso di lei mi sono ricordata di tutti i meravigliosi elementi della cultura araba – la generosità, l’ilarità, l’amore, l’apertura. È Amnah che mi ha incoraggiato a portare la mia eredità con orgoglio sul palco“.
“Da allora ho recuperato l’estetica della femminilità del Medio Oriente. Sono tornata a innamorarmi del mio background culturale. E se mia madre ancora non accetta una gran parte di ciò che sono, attraverso il recupero di quello che mi piace di lei sul palco, le mie ferite sono guarite. Ora siamo più vicine che mai“.
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Che bella storia!