Il Parlamento UE verso il riconoscimento universale delle famiglie omogenitoriali

Le nuove raccomandazioni UE mettono nuovamente in luce la barbara persecuzione delle famiglie omogenitoriali in Italia.

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Che ogni famiglia sia riconosciuta come tale in tutti gli stati membri: è questo l’obiettivo delle recenti raccomandazioni UE sulla genitorialità, che riaccendono ancora una volta il dibattito sulle famiglie arcobaleno nel nostro paese.

Con un deciso assenso espresso dalla Commissione giuridica dell’Eurocamera, che ha visto prevalere 14 voti favorevoli contro solo 4 contrari e nessun astenuto, è stata avanzata una richiesta formale per ridurre le circostanze in cui gli Stati membri dell’Unione Europea possono rifiutare di riconoscere lo status di genitorialità conferito in un altro paese dell’Unione.

Questo passaggio rappresenta un tassello fondamentale nel processo legislativo, ma per la ratifica definitiva del provvedimento sarà necessario il consenso unanime del Consiglio dell’Unione Europea (ben più difficile da ottenere).

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La proposta mira a eliminare ogni forma di discriminazione, assicurando parità di diritti a tutti i bambini nati attraverso la Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) – pratica tuttora legale in Italia, ma solo per le coppie eterosessuali – o la Gestazione per Altri (GPA), indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori.

E indipendentemente dal paese in cui nascono. 

Un boccone amaro da ingoiare per l’attuale Governo italiano e i suoi esponenti, che negli scorsi mesi hanno speso tempo prezioso a limitare i diritti delle famiglie omogenitoriali – fino addirittura a cancellarne l’esistenza in alcuni casi, dando vita a quella che è stata definita “persecuzione”.

Come conciliare l’atteggiamento progressista del Parlamento UE in un paese in cui la GPA potrebbe preso diventare reato universale?

Semplice: non facendolo. In precedenza, il Parlamento italiano aveva già opposto stenua resistenza a normative simili, facendo appello al principio di “sovranità normativa”, e sostenendo che tali direttive fossero in conflitto con i principi di proporzionalità e sussidiarietà che regolano l’autodeterminazione legislativa nazionale.

Nell’ambito della votazione che ha visto la Commissione giuridica dell’Eurocamera approvare le raccomandazioni sull’armonizzazione del riconoscimento della genitorialità, è emerso infatti che due dei quattro voti contrari provengono da esponenti di Lega, rappresentata da Alessandra Basso, e Fratelli d’Italia, con Raffaele Stancanelli.

Questi ultimi hanno espresso preoccupazioni in merito al fatto che il cosiddetto “certificato di genitorialità” potrebbe, secondo la loro interpretazione, costituire un mezzo per la legalizzazione occulta della pratica della Gestazione Per Altri, dispregiativamente indicata come “utero in affitto”.

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L’atteggiamento ostile dell’Italia verso la comunità LGBTQIA+ non è passato inosservato. Durante un incontro delle commissioni per il controllo del Bilancio dell’Unione Europea, l’eurodeputata Valérie Hayer ha richiamato l’attenzione sul meccanismo di condizionalità, che lega strettamente l’erogazione dei fondi comunitari al rispetto dello Stato di diritto da parte degli Stati membri.

Hayer ha puntualizzato che l’adozione di posizioni ostili nei confronti dei diritti civili può avere ripercussioni dirette sui finanziamenti europei, evidenziando così l’importanza del rispetto dei valori fondamentali e dei principi legali condivisi all’interno dell’UE.

Nel suo intervento, l’eurodeputata francese ha messo a confronto la posizione dell’Italia con quelle precedentemente assunte da Polonia e Ungheria, paesi che hanno già scaturito vivaci dibattiti a livello europeo per le loro politiche ritenute contrarie ai valori dell’Unione in materia di diritti civili e libertà individuali, sottolineando come l’approccio italiano, percepito come analogo a quello di tali governi, meriti un’analoga attenzione da parte dell’Unione Europea.

Ho interrogato la Commissione per chiederle di tenere d’occhio ciò che sta accadendo in Italia, dove la discriminazione omofoba da parte del governo è in aumento. Non è possibile che un solo euro di denaro pubblico dell’Ue venga utilizzato per politiche che discriminano le famiglie”.

E mentre il dibattito si infuoca tra le file del Parlamento UE, Giorgia Meloni tiene la testa sotto la sabbia e torna a parlare di “famiglia e natalità”. Alle proprie condizioni.

Abbiamo davanti una sfida importante, la denatalità affligge tutta Europa, e in Italia un certo clima culturale ha contribuito a spingere giù la curva demografica. Per decenni c’è stata disattenzione. Mentre altrove si correva ai ripari, da noi parlare di sostegno alla natalità sembrava quasi essere un tabù. Noi abbiamo infranto quel tabù, abbiamo messo famiglia e natalità al centro dell’agenda di governo”.

Verrebbe da chiedersi se questa non sia una netta contraddizione rispetto alle iniziative intraprese negli ultimi mesi, che da un lato ostacolano formazione di nuove famiglie e dall’altro portano alla dissoluzione di quelle esistenti.

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