Alla fine la montagna ha partorito. Dopo tante discussioni, dibattiti, distinguo, sono nati i DiCo, la via italiana ai PaCS. E topolino, a mio parere, non è la specie del nascituro.
Quello che ha licenziato ieri il Consiglio dei Ministri è tutto fuorchè un brutto testo. Contiene gran parte delle richieste concrete che avevamo avanzato: problemi relativi alla casa, alle decisioni in ospedale, la successione, il ricongiungimento familiare in Italia, il permesso di soggiorno per partner extracomunitari, la stessa reversibilità della pensione (è scritto che ci sarà, mentre l’applicazione viene demandata alla riforma della previdenza che dovrà arrivare a mesi), sono tutte cose che nel DDL Bindi-Pollastrini ci sono, nere su bianco. E fa un certo effetto leggere a chiare lettere quell’articolo 1: Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, […] sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge. ^SRispetto al tanto decantato PaCS francese, ad esempio, i benefici in più non sono pochi, mentre di meno non c’è nulla^s.
Certo, la legge è migliorabile. Gli anni da cui scattano alcuni benefici possono essere accorciati (quei 9 anni, ad esempio, per i diritti successori sono molto più di quanto molte coppie sposate durano…), la dichiarazione da contestuale può ritornare congiunta (ma solo per ragioni ideologiche, giacchè dal punto di vista pratico non cambia nulla), ma se la sostanza restasse questa, ci sarebbe da esserne felici.
Stento a comprendere le posizioni che…
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Stento a comprendere le posizioni che la quasi totalità delle associazioni gay hanno espresso ieri e ancora oggi. O meglio, lo comprendo solo se è fatto per ragioni tattiche: farci apparire scontenti – sostengono alcuni – è uno dei pochi trucchi che abbiamo per evitare che il Vaticano levi gli scudi e il vasto mondo delle associazioni fondamentaliste apra un fronte nella società anti-DiCo, con tutto quello che ne conseguirebbe. Ma se così non fosse – e le dichiarazioni dei Vescovi di oggi lasciano poche speranze – sarebbe uno sbaglio enorme, un ennesimo esempio del classico vizio di certa sinistra di considerare più nemici quelli che sono meno amici: così, sarebbe sciagurato non sostenere le due ministre che su quel testo si sono così tanto impegnate (che tosta la Bindi ieri sera da Vespa, a proposito!) o trasformare l’appuntamento del 10 marzo in una manifestazione anti-governativa. Di tutto abbiamo bisogno, fuorchè di sparare sulla Croce Rossa.
Comprendo ancora meno le posizioni del centro-destra. Fondamentalisti cattolici a parte (Casini e Buttiglione in testa), sentire ai telegiornali di ieri sera le dichiarazioni di esponenti laici del centro-destra (ad esempio la Prestigiacomo) che annunciavano fuoco e fiamme solo perchè il governo aveva deciso di approvare il disegno di legge in Consiglio dei Ministri, anzichè scegliere la via parlamentare, fa davvero tristezza: possibile che in questo paese vinca così tanto il politicismo che la decisione di votare contro un provvedimento non sia tanto dovuta al contenuto della proposta di legge, quanto dalle modalità con cui il governo la presenta in Parlamento?
Personalmente credo che questa legge sia ormai un feticcio per troppi. Lo è per il Vaticano, che lo vede come uno degli ultimi argini contro la modernizzazione e la perdita di una propria centralità. Lo è per parte della sinistra, che lo vive come simulacro di una forte caratterizzazione della propria esperienza governativa, ben oltre la sua reale portata nella vita delle persone. Lo è anche per il movimento LGBT, che lo carica di eccessivi significati, come se l’accettazione sociale dell’omosessualità passasse solo da lì, dal riconoscere le nostre unioni, e non anche ad esempio da uno snocciolamento di mille provvedimenti nelle maglie dell’attività di un governo con cui, a differenza del precedente, il confronto è possibile, dalla scuola alla sanità, dalle forze di polizia alla cultura.
Per le coppie LGBT ed eterosessuali, questo provvedimento non è sicuramente un feticcio. È un riconoscimento della dignità del proprio amore – magari in misura minore da quanto vorremmo, ma sempre di riconoscimento si tratta – ed è una soluzione concreta ai mille problemi dello stare insieme. L’augurio è che i parlamentari e i dirigenti del movimento gay partano da questa realtà e non la dimentichino mai, cammin facendo: dopo aver preso lezioni di moderatismo, farsi usare per scopi politicisti e alla fine ritrovarsi con un nulla in mano sarebbe una delusione troppo cocente per le coppie di fatto di questo paese.
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